Tra le cose che resteranno di Atreju, la manifestazione di Fdi, c’è il racconto fatto da Nicolò Zanon. A Castel Sant’Angelo la sera del 10 dicembre si è discusso della riforma della giustizia e uno degli ospiti sul palco era lui: oggi ordinario di Diritto costituzionale all’università degli Studi di Milano, ma dal novembre del 2014 a quello del 2023 giudice della Corte Costituzionale, di cui è stato anche vicepresidente, e prima ancora, dal luglio del 2010 al settembre del 2014, membro “laico” del Csm, l’organo di autogoverno dei magistrati, dove fu eletto su indicazione del centrodestra.
È schierato in favore del «Sì» al referendum e fa parte del comitato della Fondazione Einaudi che difende la separazione delle carriere e il sorteggio dei membri del Csm.
Professore, lei ha raccontato che Magistratura democratica, Unicost e le altre correnti lottizzano persino gli autisti e le donne delle pulizie che lavorano a palazzo dei Marescialli. Come è possibile?
«Lo so che appare una cosa clamorosa, ma non è illegale. Ha anche un aspetto divertente, se vogliamo, tant’è che l’ho raccontata ridendo. E comunque sì, almeno finché io sono stato lì, è così che ha funzionato».
Così come?
«Il potere delle correnti era talmente forte da coinvolgere non solo i componenti del Csm, e in modo particolare i togati, ma l’intero ambiente che lavorava intorno a loro. La prima cosa che scoprii, arrivato lì, è che gli autisti che dovevano portare i consiglieri da casa al Csm erano selezionati in base a criteri di appartenenza correntizia».
Come funzionava? «Una consuetudine interna prevedeva che ci fossero gli autisti dei consiglieri di Magistratura democratica, quelli dei consiglieri di Area e lo stesso per le altre correnti. E che, quando cambiava la consiliatura, quelli che avevano lavorato con Md fossero assegnati ai nuovi componenti togati di Md, quelli di Area ai nuovi consiglieri di Area e così via».
Il motivo?
«Non lo chieda a me, io non ero un togato. Ragioni di rapporto fiduciario, chissà. Se non che, subito dopo, scoprii che anche i tavoli alla buvette erano assegnati con criteri politici».
Come vi accomodavate a pranzo?
«Noi non c’entravamo, la cosa riguardava solo i togati. In cima al palazzo del Csm, in piazza Indipendenza, c’è una terrazza molto bella, dove è stata ricavata una buvette. Ci andavano a pranzare i consiglieri provenienti dalla magistratura, per noi laici non era previsto. E i tavoli erano lottizzati: per prassi amicale, s’intende. Quello più bello, che dava sulla piazza, era riservato a Magistratura democratica e Area».
Le due correnti di sinistra. Gli altri?
«Il tavolo di Unicost, Unità per la Costituzione, la corrente moderata, era un po’ meno prestigioso. E quello di Magistratura indipendente, la corrente dei magistrati conservatori, non aveva nemmeno la vista sull’esterno».
Una disposizione che rispecchiava la geografia del potere. E le donne delle pulizie?
«Noi laici, a pranzo, dovevamo andare nei ristoranti. Invece i consiglieri togati avevano le signore che facevano le pulizie al Csm, che al termine del turno di lavoro li aiutavano a fare la spesa. I consiglieri si preparavano da mangiare nella cucina della buvette, così non dovevano uscire dal palazzo. Semplici rapporti di amicizia, nulla di male. Ma anche le signore delle pulizie, scoprii, erano divise per correnti. C’era quella di Magistratura democratica, quella di Area, quella di Magistratura indipendente...».
E lì dentro tutto questo è normale?
«Di sicuro lo è stato nel periodo in cui io sono stato lì. Quando arrivai nel consiglio, del resto, la prassi era che nel plenum ci si sedesse per gruppi. C’erano i togati di sinistra tutti insieme da una parte, i laici di destra tutti insieme dall’altra...».
Come in parlamento.
«Proprio come fanno in aula i gruppi parlamentari, sì. Finché, per effetto della volontà del presidente Napolitano e dell’unico togato indipendente, Paolo Corder, fu decisa un’innovazione: i consiglieri si sarebbero seduti non per appartenenza politica, ma per anzianità decrescente nei due lati dell’emiciclo. Così dalla parte opposta rispetto al presidente della repubblica si sarebbe seduto il consigliere più giovane».
L’anagrafe anziché il colore politico: una piccola “riforma” simbolica.
«Sì. Avrebbe dovuto manifestare, anche esteriormente, l’indipendenza e l’imparzialità di giudizio di ogni singolo consigliere e l’assenza di vincoli e di schieramenti precostituiti. Io stesso mi trovai seduto lontano dai miei colleghi laici, accanto a due consiglieri togati di orientamento diverso dal mio».
Servì a qualcosa?
«A poco o a nulla. Durante il plenum, quando sorgevano questioni su cui prima i gruppi non avevano potuto accordarsi al loro interno, c’era un viavai continuo, i consiglieri che stavano in punti lontani si telefonavano, si scrivevano messaggi, si mandavano occhiatacce, facevano gesti, si alzavano per prendere indicazioni dal capogruppo...».
Faccia capire: al Csm, con le regole d’elezione attuali, la politicizzazione è formalizzata al punto che ci sono non solo i gruppi, ma anche i capigruppo che li guidano?
«Le leggi e il regolamento interno non li prescrivono né li vietano. Gruppi e capigruppo esistono e, piaccia o meno, sono il motore della vita consiliare. Noi laici eravamo più disordinati, al limite dell’anarchia, e raramente riuscivamo a coordinarci tra noi, anche quando avevamo lo stesso orientamento. Ma i togati si muovevano in quel modo».
Ma la magistratura, Costituzione alla mano, non dovrebbe essere «un ordine autonomo e indipendente da ogni altro potere»? E il Csm non dovrebbe essere il bastione a difesa di autonomia e indipendenza?
«In teoria, sì. In pratica, va come abbiamo visto. Michele Vietti, che è stato vicepresidente del Csm, di recente ha raccontato che prima del plenum faceva addirittura le riunioni dei “capigruppo”, dei capi delle correnti, per gestire meglio i lavori del consiglio. Come fanno i presidenti di Camera e Senato: trattava il Csm come se fosse una terza Camera».
Con la riforma per cui voteremo in primavera cambierà qualcosa?
«Le correnti contestano la riforma soprattutto perché prevede il sorteggio dei componenti del Csm. Ma se un magistrato è considerato imparziale ed equilibrato quanto basta da decidere delle nostre vite, e magari condannarci all’ergastolo, non si vede perché, se sorteggiato, non possa fare il consigliere del Csm. La verità è che, con l’estrazione a sorte dei consiglieri togati, le correnti temono di perdere il loro potere. Già questo è un ottimo motivo per votare “Sì”».