Giulio Andreotti
Si tralascia che il «concorso esterno» si è rivelato un fallimento trentennale, anzitutto, e che ha lasciato non poche ombre sui recenti e residuali esiti a vantaggio dell’accusa: condanne per personaggi comunque minori – detto con rispetto – rispetto alla moltitudini di assoluzioni che riportiamo nello specchietto. Il resto, sempre detto con rispetto, sono bugie consapevolmente pronunciate. Ancora ieri, sul Fatto, il capo della procura palermitana Gian Carlo Caselli tornava su frasi di Giovanni Falcone pronunciate nel 1987: ma conta che quattro anni più tardi, nel 1991, come già spiegato ieri a proposito della legge 416 bis, Falcone concluse che «non sembra abbia apportato contributi decisivi nella lotta alla mafia. Anzi, vi è il pericolo che si privilegino discutibili strategie intese a valorizzare ai fini di una condanna, elementi sufficienti solo per aprire un’inchiesta». Invece fu proprio Gian Carlo Caselli, dal 1993, in nome di una presunta eredità di Falcone, ad azzardare una continuità penalmente rilevante tra la Cosa Nostra degli affiliati e la società acquiescente che per decenni ci aveva convissuto per paura, per quieto vivere, per indolenza, per calcolo e talvolta anche sì, per convenienza. Falcone e Borsellino avevano dimostrato eroicamente che una Cupola o una «Commissione» mafiosa si potevano abbattere (con strumenti giurisprudenziali normali) ma intere generazioni di siciliani abituati a considerare con fatalismo la convivenza con la mafiosità, e la corruzione della classi dominanti, arresi da decenni a una politica e a un’economia e a una magistratura intese come espressioni del potere vincente, ecco, quei siciliani forse no, non erano redimibili dall’oggi al domani: tantomeno con le armi del diritto.
LA RELIGIONE LEGALISTA
Trent’anni fa, tuttavia, il fronte Antimafia più vicino a Caselli tentò di trasformare ogni auspicio di «normalità» in una dolosa strategia di «normalizzazione», intesa come base di un improbabile ritorno di Cosa Nostra: se un fragore esplosivo era sinonimo di mafia, un silenzio rilassante divenne comunque sinonimo di mafia. Non c’era scampo. L’antimafia militante, in lutto e mobilitazione permanenti, trasformò anche l’ignaro cittadino «normale», noncurante, il mancato custode della «memoria», in un potenziale connivente o mafioso dormiente:; prima ancora degli interminabili e fallimentari processi per «concorso esterno», a estenuare buona parte del Paese, fu soprattutto un «legalismo» quasi eletto a religione etica, a velleitaria pretesa che una società fosse purificabile a suon di ordinanze giudiziarie e cortei urlanti nelle piazze televisive.
Una furia che degenerò in cannibalismo giudiziario: le frizioni interne al potere rimasto unico sul campo – magistrature e polizie – portarono addirittura a inquisire per decenni dei veri e propri eroi antimafia come il generale Mario Mori e il capitano Sergio De Caprio, coloro che catturarono Riina e Provenzano. Questo, oltre ai falliti processi «eccellenti» della gestione Caselli, metterà in secondo piano il frutto più prezioso della permanenza in Sicilia del procuratore che veniva dal Nord: le catture di importantissimi boss latitanti e degli autori materiali della strage di Capaci (tra questi: Giuseppe Graviano, Leoluca Bagarella, Giovanni Brusca, Gaspare Spatuzza) oltre al numero impressionante di ergastoli inflitti dal 1993 sino alle soglie del nuovo millennio, i circa 1500 criminali che divennero collaboratori di giustizia (e che purtroppo sollevarono seri problemi circa la loro credibilità) e poi gli ingenti beni sequestrati, e molto altro ancora. Tutti risultati innegabili. Il bilancio numerico della gestione Caselli varia molto da una fonte all’altra, quindi ci si atterrà ai dati forniti da lui stesso in un’udienza di tribunale all’inizio del 2016: 89.655 persone indagate, 8.826 per fatti di mafia, 23.850 rinviati a giudizio, 3.238 per fatti di mafia.
Gian Carlo Caselli è stato uno dei tanti eroi che hanno contribuito a distruggere una mafia militare oggi distrutta, inesistente: non c’è più la Sicilia dilaniata, frantumata da violenze, intimidazioni, autobombe, morti, lutti, le città che all’inizio degli anni Ottanta vedevano le strade e le piazze lastricate del sangue di omicidi oppure di scomparsi per la cosiddetta lupara bianca, sino alle atrocità degli strangolamenti coi cadaveri sciolti nell’acido. C’è ancora l’animo umano, homo homini mafia: ma quello Caselli non è riuscito a indagarlo, e certi grezzi strumenti inquisitori che furono usati anche ignobilmente, come il «concorso esterno», ci sono rimasti sul gobbo, benché fossero e siano fuori dallo stato di diritto, e non esistano in nessun altro paese del mondo.
Il bilancio delle devastanti inondazioni causate dalla tempesta che ha colpito il Texas centrale sale ad almeno 51 morti. Ventisette i dispersi.Il dato ufficiale fornito dalle autorità parla ancora di 43 vittime ed è probabile aumenti nella zona più colpita della contea di Kerr. Sempre le autorità sabato in una conferenza stampa hanno dichiarato che 15 delle vittime erano bambini. Il governatore Greg Abbott ha promesso che le squadre avrebbero lavorato 24 ore su 24 per soccorrere e recuperare le vittime. Ancora da ufficializzare il numero delle persone disperse, a parte 27 bambine che si trovavano in un campo estivo femminile.