Era visibilmente emozionata Giorgia Meloni nella conferenza stampa che ha fatto seguito alla firma del Memorandum fra l’Unione Europea e la Tunisia. E lo era a buon ragione. Quello raggiunto è un risultato storico per l’Europa e le future generazioni, sia europee sia nordafricane. E lo è soprattutto per l’Italia, per la sua diplomazia (di cui possiamo a buon ragione menare vanto) e per questo governo che lo ha cercato testardamente e con caparbietà, tenendo fede a quello che era un obiettivo primario del programma con cui si è presentato alle urne e ha vinto le elezioni. Storico lo è il risultato perché mostra come con la buona politica si possono persino superare, in nome dell’interesse comune, le divisioni che sicuramente ci sono fra i partiti a livello europeo (oltre alla popolare Von der Leyen a Tunisi c’era, con la conservatrice Meloni, anche il socialista olandese Mark Rutte). Ed è un colpo inferto alla nostra sinistra, e ai giornaloni che ne sono il megafono, che quelle divisioni esasperano a costo di ledere l’interesse nazionale.
Il successo del governo avviene proprio su quel terreno, la politica internazionale ed europea, ove la sinistra prevedeva augurandosi catastrofi e scogli insuperabili. E ove si deve invece constatare che i nostri ministri (a cominciare dal vicepremier Salvini) si muovono a proprio agio, indipendentemente dall’appartenenza politica degli interlocutori e in nome solamente dell’interesse nazionale. Il Memorandum pone le condizioni per fare da battistrada e modello ad altri accordi simili e segnare una vera e propria svolta nella gestione dell’immigrazione, in una logica di win win: investire in Africa aiuta gli africani a restare nel loro Paese, da cui sicuramente non emigrano con piacere, e l’Europa ad acquisire sicurezza.
È giunto il momento di ammettere che se il problema migratorio ha assunto le dimensioni francamente insostenibili degli ultimi anni è per il combinato disposto di una “cooperazione” che senza una visione ha alimentato solo la corruzione e di un totale disinteresse che ha lasciato spazio alle attenzioni interessate di russi e cinesi. C’è molto di che essere emozionati. E c’è soprattutto la consapevolezza che da una parte si fa alta politica e dall’altra si guarda la storia dal buco della serratura, mettendo su persino futili polemiche su come sarebbero stati trattati i giornalisti sul treno che sempre ieri ha portato il premier da Roma a Pompei.