I sindacati vogliono la cassa integrazione per i dipendenti se ci sono più di 33 gradi. «Guardi, questo allarmismo sul clima ha già ridotto gli acquisti nei negozi: i dati parlano chiaro, noi li monitoriamo quotidianamente. Non c’è alcuna emergenza caldo, nessuna “tempesta di calore”: l’unica emergenza, se andiamo avanti così, è che le persone- soprattutto gli anziani - staranno sempre di più a casa. Non vorrei che in qualche modo tornassimo al tempo del Covid». Gianluigi Cimmino, 50 anni, napoletano di nascita e lombardo d’azione, è l’amministratore delegato di Yamamay e Carpisa, tra i marchi più conosciuti di intimo, costumi e borse. È a capo anche della catena di ristoranti Sophia Loren.
Cimmino: chi è che vuole riportarci alla pandemia?
«Le grandi piattaforme di vendita sul web. Ci sono strutture che lavorano al di sopra dei partiti e condizionano l’opinione pubblica, orientano le scelte. Dopo, certo, viene la politica».
Cosa intende?
«Io non so ad esempio se alcuni colossi della produzione automobilistica siano in crisi, e magari mettere in cassa integrazione i dipendenti torna utile. O se alcune realtà dell’online devono tornare ai numeri del lockdown...».
Torniamo alla cassa integrazione.
«È un costo per lo Stato e un rischio per il lavoratore, che in busta paga prende meno. Il tutto in un momento particolare in cui i consumi vanno sostenuti e tante famiglie hanno il problema dell’aumento delle rate dei mutui, oltre a quello dell’inflazione, che anche se sta calando c’è e si sente eccome. Tenere a casa milioni di lavoratori per il caldo sarebbe un danno enorme all’economia. Che poi, mi perdoni: stiamo parlando di dieci giorni di gran caldo, non di più. L’anno scorso, per dire, giugno era stato molto più caldo di quello appena passato. È un provvedimento sbagliato. Totalmente sbagliato, se verrà applicato senza distinguere nello specifico caso per caso».
Ora in molti le daranno del «negazionista del clima».
«Il cambiamento climatico esiste, ma adesso siamo andati oltre. Come si fa a chiedere lo smart working per gli uffici, dove c’è dappertutto l’aria condizionata?».
Ecco, un consigliere regionale della sua Campania, Diego Venanzoni (centrosinistra, ndr) ha chiesto al Comune di Napoli di valutare il ricorso al lavoro da casa per i dipendenti del Comune e delle aziende partecipate: «Non possiamo permetterci», sostiene, «di assistere passivamente a morti che potrebbero essere evitate».
«In ufficio? Senta: piuttosto dovrebbero fare un’indagine su quanti allarmi meteo ha lanciato il Comune di Napoli nell’ultimo anno, quanti erano veritieri e quanti no. Hanno bloccato scuole e uffici pubblici».
In Puglia 140 dipendenti di McDonald’s sono in sciopero: in cucina, lamentano, le temperature superano i 40 gradi.
«Chiariamo: ci sono lavori davvero usuranti, chi lavora nei campi o per strada nei cantieri, e per loro va trovata una soluzione, ad esempio un cambio d’orari. Ma in questi giorni si sta parlando anche di chi va a lavorare in ufficio e si mette in macchina con l’aria condizionata: mi dice cosa si rischia? C’è molto più fresco in ufficio che a casa. Mi spiega qual è il senso di tenerli a casa? Oltretutto si danneggiano pure i ristoranti e i bar vicni alle aziende. Per non parlare del turismo: chi viene dall’estero se giornali e tivù dicono che a Roma si rimane incollati ai sampietrini?».
Il segretario della Cgil, Landini, ha appena chiesto il ricorso alla cassa integrazione «in tutti i settori, dove non ci sono le condizioni per lavorare, perché il gran caldo», continua, «mette a rischio le vite».
«Io dico che non si possono equiparare tutte le categorie. Non vorrei che tornassero i fantasmi del Covid, l’invito a stare in casa... E mi lasci aggiungere una cosa».
Prego.
«Spero che il governo non si faccia influenzare da certe strumentalizzazioni, in modo particolare da certe categorie produttive».
Il capo della Uil, Bombardieri, chiede che anche gli autotrasportatori possano richiedere la cassa integrazione. L’alternativa, aggiunge, è cambiare gli orari».
«Bisogna stare attenti a non bloccare il Paese. Non ce lo possiamo permettere».