«Più lo mandi giù, più ti tira su», diceva un vecchio slogan pubblicitario. A Donald Trump succede più o meno la stessa cosa, più lo accusano, più lo incriminano e potenzialmente lo condannano, più lui va su nei sondaggi, più il vantaggio sui suoi contendenti alle primarie repubblicane cresce e diventa abissale, praticamente incolmabile. Guardate il grafico che pubblichiamo: ad aprile arrivano le prime serie incriminazioni, i 34 capi d’accusa, l’arresto, il rilascio immediato e il discorso a Mar-a-Lago, proprio in quei giorni la forbice tra Trump e Ron De Santis, prima tra un minimo di 1/2 punti e un massimo di 6/7, comincia ad allargarsi vertiginosamente.
Il Tycoon supera per la prima volta il 50% del gradimento dei repubblicani e da quella barriera non si schioda più, DeSantis al contrario scende sotto il 30%, e negli ultimi giorni, complice qualche gaffe di troppo, perfino sotto il 20. Attualmente la distanza tra i due è di 37 punti, un vantaggio che nella storia delle primarie di entrambi i partiti americani non è mai stato annullato da alcun candidato. Obama riuscì a conquistare la nomination democratica dopo essere stato, per un periodo molto limitato, nell’autunno del 2007, a quasi 30 punti dalla Clinton. Ma DeSantis per quanto ha finora dimostrato non sembra avere la stoffa e il carisma di Barack.
ASINI E/O ELEFANTI
In fondo è quello che i Dem vogliono e i repubblicani sembra ci siano cascati come degli asini. Secondo il loro punto di vista le azioni giudiziarie ad orologeria portate avanti da giudici rigorosamente di parte dovrebbero servire prima a far vincere le primarie al tycoon, puntando sulla convinzione diffusa tra i repubblicani duri e puri che siano per lo più mosse da motivazioni politiche, e poi ad abbattere lo stesso screditandolo definitivamente con processi, altre accuse o perfino eventuali condanne. Anche in quest’ultimo caso Trump ha già pubblicamente dichiarato che non si fermerà: la legge glielo permette.
UDIENZE A RAFFICA
Perfino se finisse in carcere, i codici americani non si sono mai spinti fino a questo punto. “Maga” a parte, cioè i trumpisti duri e puri, i dem sono convinti che tutti gli altri che votano l’elefantino non riuscirebbero a far finta di nulla di fronte al duro e insindacabile giudizio di una giuria. D’altronde sarebbe un caso unico e increscioso nella storia degli Usa. Anche il calendario degli appuntamente in tribunale è dalla loro e contro Trump: a gennaio è previsto il dibattimento per il caso di diffamazione (e presunto stupro) di Jean Carroll, a marzo quello di Stormy Daniels, a maggio quello dei documenti classificati. Più avanti, probabilmente a ridosso delle elezioni, ci sarà quello più importante e più politico per le ultime accuse di cospirazione.
In tutti gli ultimi tre casi Trump dovrà essere presente in aula, ovvero il candidato repubblicano alla presidenza dovrà risponderne di persona e con la sua faccia. Uno show mediatico ed elettorale esplosivo i cui effetti tuttavia sono tuttora inimmaginabili. Idem infatti sottovalutano (o sopravvalutano, a seconda dei punti di vista) l’intelligenza degli elettori repubblicani, quantomeno non ne considerano le capacità di analisi e di giudizio, caratteristica tristemente tipica di tutte le sinistre, non solo quella americana. Le percentuali degli elettori di destra che sono convinti che buona parte accuse contro Donald siano politicamente strumentali vanno ben oltre quella rappresentata dai Maga che generalmente contano per il 37%: secondo un sondaggio di giugno della CBS News, tale percentuale arriva addirittura al 76%. Secondo un altro sondaggio Cnn del marzo scorso l’84% dei repubblicani condivide perfino l’opinione che Joe Biden non abbia «legittimamente» vinto le elezioni del 2020.
FUORI CONTROLLO
Se si esagera, come di fatto stanno facendo i giudici eletti dai dem, e si supera un confine difficilmente ponderabile, la rabbia dell’elettore non democratico (nel senso del partito) rischia di riversarsi su coloro che si ritiene tirino i fili di tale strategia. Insomma i dem dovranno dire addio ai loro calcoli e alle loro previsioni, come dimostra l’impressionante corsa di Trump sul povero DeSantis, e soprattutto l’attuale testa a testa tra il tycoon e Biden: 43 a 43, dopo che per mesi il vantaggio del presidente, nonostante la sua impopolarità, non era mai stato messo in discussione. «La possibilità che Trump ottenga un altro mandato è reale», titolava costernata la Cnn qualche giorno fa, solo qualche ora prima le nuove incriminazioni. Qualcuno comincia a capirlo.