CATEGORIE

La partita di Trump tra business e identità

Nel giro di poche settimane il presidente degli Stati Uniti è stato raccontato in ogni modo: da miglior alleato di Putin, quasi un sodale, a miglior amico di quel mondo arabo sotto i cui tetti dorati si sono rifugiati fior di terroristi jihadisti
di Gianluigi Paragone domenica 18 maggio 2025

4' di lettura

In queste giornate si fa un gran discutere degli atteggiamenti di Trump in politica estera. Nel giro di poche settimane il presidente degli Stati Uniti è stato raccontato in ogni modo: da miglior alleato di Putin, quasi un sodale, a miglior amico di quel mondo arabo sotto i cui tetti dorati si sono rifugiati fior di terroristi jihadisti. Nel mezzo, per non farci mancare nulla, è stato descritto anche come traditore dell’Europa e calabraghe con la Cina. Cosa c’è di vero? Tutto e niente. È indubbio che questa Casa Bianca abbia deciso di poggiare la ripresa americana sull’asse cartesiano del business e di declinare la tesi dell’American First in modo spregiudicato.

C’è chi vede in questo comportamento uno scandalo. Coloro che lo fanno, però, sono gli stessi che per decenni hanno sposato le ricette del neoliberismo e del mercatismo, da Clinton a Blair fino a Obama. Quindi perché scandalizzarsi? Trump sta solo piegando queste formule in una nuova chimica, che è la sua visione cioé di un imprenditore tipicamente americano. Nelle varie espressioni usate per descrivere Trump e per lo più denigrarlo (isolazionista, inaffidabile, incompetente, spericolato e persino matto) non ho mai trovato una chiave di lettura che ci aiutasse per comprendere le evoluzioni e le traiettorie che innegabilmente questo presidente sta disegnando e che dovremmo cercare di decriptare non fosse altro perché quando camminano gli Stati Uniti lasciano impronte pesanti, cosa che non si può affermare - se non con buone dosi di retorica- per l’Europa che non è un soggetto unico né politicamente, né commercialmente.

Poiché non credo che il presidente americano agisca per umori (non fosse altro perché dimentichiamo che l’amministrazione americana ha filiere ben più complesse dell’idea per cui il Presidente agisce come un uomo solo al comando), ho trovato nella terminologia della fisica un concetto che può esserci utile per comprendere la articolata partita di Trump. Il termine è “porosità”, ovvero - leggo dalla Treccani - “il rapporto tra il volume dei vuoti esistenti in una determinata porzione di un materiale e il volume complessivo”. In un traslazione più politica, la porosità delle relazioni che sta instaurando questo presidente sta nella capacità di assorbire scambi commerciali senza per questo essere totalmente dipendenti dagli stessi. In maniera plastica lo abbiamo visto con la vicenda dei dazi con la Cina che sbrigativamente abbiamo archiviato come fallimentare e invece non lo è. Trump continua a ritenere la Cina il vero avversario degli Usa ma sa che queste due grandi economie non possono disaccoppiarsi. Quel che si può fare- nella prudenza delle relazioni- è ridurre le sfere di influenza in una condizione di porosità appunto e nel contempo di separazione. Ed è ciò che, attraverso la leva/minaccia dei dazi, Trump chiede anche agli altri partner: se volete trattare con noi per evitare i dazi dovete limitare gli scambi con Pechino. È stato palese nell’accordo tra Usa e Gran Bretagna. Su questo atteggiamento si chiuderà la trattativa con l’Europa e i singoli Stati Ue.

Lo stesso criterio lo vediamo nei rapporti con la Russia: Trump è irritato per il comportamento di Putin rispetto alla guerra in Ucraina ma non vuole strappare per evitare che Mosca si allinei completamente con la Cina (condizione che tra l’altro non si può permettere nemmeno il Cremlino se non vuole finire stritolato dal Drago). Ultimo capitolo. Gli accordi che ha chiuso nel Golfo con gli emiri e, quindi, l’apertura di credito con la Siria o con l’Iran passando dalle intese con la Turchia. Non vi è dubbio che in questo viaggio la dimensione economico/finanziaria sia stata prevalente ma sempre nell’ottica trumpiana per cui la pace è il presupposto delle relazioni geoeconomiche. Se con la Cina la partita è per lo più dentro la sfera della globalizzazione, le prudenti aperture di credito con il Golfo non possono non tenere conto di cosa quella sfera culturale comporti e abbia comportato rispetto alla lotta al terrorismo islamico. L’altro giorno Domenico Quirico (autore di un interessante “Le quattro Jihad. Lo scontro tra islam e Occidente da Napoleone a Hamas”) ha così scritto sulla Stampa: «I jihadisti non possono evolvere, pentirsi, convertirsi. Se non per utile finzione. La Sharia è un diritto immutabile, non assoggettabile ad alcun adattamento storico, pena l’anatema. (...) La sfida più pericolosa al nostro mondo non viene da Putin e dalle sue smanie di grandezza. Putin, purtroppo, è una parte del nostro mondo e non vede l’ora di ritornarci ma con riverenze che soddisfino il suo sgangherato narcisismo. Gli uomini come Al Jolani il nostro mondo lo vogliono annientare perché lo considerano empio». Concordo.

Trattativa per la pace Donald Trump, "ho informato anche Giorgia Meloni": il piano per la pace

Colloquio telefonico Ucraina, telefonata tra Putin e Trump: ecco cosa si sono detti

Il colloquio Meloni, la telefonata con Trump? Schlein smentita a tempo record

tag

Ti potrebbero interessare

Donald Trump, "ho informato anche Giorgia Meloni": il piano per la pace

Ucraina, telefonata tra Putin e Trump: ecco cosa si sono detti

Meloni, la telefonata con Trump? Schlein smentita a tempo record

Usa, Trump taglia le tasse e Moody's lo sgambetta

Dario Mazzocchi

Ucraina, telefonata tra Putin e Trump: ecco cosa si sono detti

Si è conclusa la conversazione telefonica tra Vladimir Putin e Donald Trump, che il presidente russo ha definito ...

Usa, choc al funerale: "Non è mio zio", chi c'è nella bara

Una storia che ha del surreale, quella andata in scena a Otis Adkinson negli Stati Uniti. Qui è avvenuto un ...

Gb, 98enne schiaccia Tesla col tank Video

Non è detto che si tratti di una notizia vera, anche perché è stata rilanciata da testate non molto...

Criminali in crisi, la nuova Libia e il generale russo

Negli scontri fra milizie libiche ci hanno rimesso la pelle anche gli animali dello zoo di Abu Salim a Tripoli. Il giorn...
Giovanni Longoni