Non è lontano il tempo in cui, quasi senza accorgercene, ci ritroveremo a parlare del Movimento 5 Stelle usando il passato remoto: trattandolo come una parentesi tutto sommato folkloristica nell’evoluzione del bestiario politico italiano.
Del resto, se nel settembre 2022, grazie all’uso elettorale spregiudicatissimo – in termini di acquisizione del consenso – del reddito di cittadinanza, i grillini erano riusciti a ottenere un ragguardevole 15,6% (comunque dimezzando lo stellare 32% del 2018), già alle amministrative della scorsa primavera i pentastellati hanno dovuto fare i conti con un autentico bagno di sangue. A puro titolo di promemoria: 1,4% a Brescia, 1,7% a Vicenza, 1,4% a Siena, 2,2% a Teramo. Roba, se non da estinzione conclamata, da pre-sparizione.
Eppure, un partito ridotto in queste condizioni, per giunta rappresentato nelle istituzioni da un ceto parlamentare spesso imbarazzante, non di rado in lotta (perdente) sia con i congiuntivi sia con l’aritmetica, riesce lo stesso a esercitare un’influenza devastante. Almeno per tre ragioni.
La prima è il conto salatissimo lasciato da pagare ai contribuenti. Checché vada raccontando Giuseppe Conte, il superbonus si è rivelato una Caporetto per il bilancio dello Stato. Siamo davanti a un gravame che rischia di ipotecare non una ma tre leggi finanziarie. A proposito (i lettori si preparino): domani offriremo loro una radiografia definitiva della disastrosa eredità economica dei grillini, su tutti i fronti. E, se non parlassimo di cose tragiche, ci sarebbe perfino da ridere dell’incompetenza di questi apprendisti stregoni, delle loro previsioni farlocche, della sfacciataggine con cui raccontavano balle (e continuano a farlo). Basta un clic per recuperare online le scene grottesche dell’arrivo di Conte in non poche piazze del Sud Italia, accolto dallo sventolio delle tesserine del sussidio e dal grido: «È arrivato il papà del reddito di cittadinanza». Per non dire dei comizi in formato televendita, quando l’uomo della pochette, promettendo mirabolanti ristrutturazioni a spese dei contribuenti, inanellava una compilation di «gratuitamente». Anzi, il format prevedeva il giochino con il pubblico a domanda e risposta: «E come la facciamo questa cosa?», chiedeva sornione lui. «Gratuitamenteeeeeee», rispondevano estasiati i militanti grillini. Ecco: domani Liberovi racconterà per filo e per segno quanto (e fino a quando) saremo chiamati a finanziare questa presunta gratuità.
La seconda ragione di inquietudine è legata al fatto che, pur in una fase di grillismo declinante, il veleno dell’assistenzialismo caro ai pentastellati è rimasto in circolo, e condiziona la discussione pubblica, tuttora largamente centrata su bonus, richieste di sussidio, mix di tasse alte e spesa alta, paternalismo, dirigismo. In questo senso, il centrodestra farà bene ad essere coraggioso, non limitandosi a correzioni dello schema esistente, ma puntando a un completo cambio di paradigma. Non si tratta di distribuire diversamente l’uno o l’altro bonus, ma di puntare – come obiettivo di fondo – a un sistematico taglio delle tasse.
PD COMMISSARIATO
Il terzo e ultimo danno grillino è rappresentato da un’autentica egemonia esercitata su quel che resta del Pd. Al Nazareno, anziché puntare a differenziarsi dai pentastellati, si è scelta la logica di un surreale inseguimento dei grillini, che ormai dettano la linea su tutto. Ci avevano raccontato, durante e dopo il lavacro delle primarie, che si trattava di ridare identità autonoma al Pd, anzi di aprire la competizione con i Cinquestelle. Di più: di non apparire subordinati ai grillini, di respingere l’opa pentastellata, di affermare il protagonismo dem. E invece che fa da mesi Elly Schlein? Culturalmente parlando, si consegna a Giuseppe Conte (e per altro verso a Maurizio Landini), certificando un ruolo gregario rispetto a M5S e Cgil. E infatti, al massimo, Pd e M5S competono tra loro per sfilarsi quote del medesimo bacino elettorale, ma senza alcuna capacità – e forse nemmeno l’ambizione – di allargare la loro interlocuzione ad altre aree della società italiana.
Diciamolo chiaramente: una famiglia con il mutuo da pagare, un lavoratore autonomo in arretrato con un versamento Iva, un lavoratore non garantito, un disoccupato non adagiato su nessun sussidio, un imprenditore in difficoltà con il credito bancario, cos’hanno (cos’hanno avuto e cos’avranno) da spartire con le parole d’ordine di questa comitiva? Proprio niente. A loro volta, gli stessi media più vicini alla sinistra (si pensi ai quotidiani del gruppo Gedi: Stampa e Repubblica), anziché puntare su un’opzione riformista distinta e distante dai pentastellati, spingono per un’ammucchiata indifferenziata, tenuta insieme solo dal collante dell’anti-melonismo. Sta qui la colpa maggiore del Pd e della sua stampa di riferimento, e simmetricamente sta sempre qui la scommessa di Conte: anche nel momento in cui pesa di meno, riuscire a far recitare agli altri gli slogan dei pentastellati. E gli italiani – nel frattempo – pagano il conto.