Fumata nera per Elly Schlein. La non notizia è che il Movimento Cinque Stelle precisa che Giuseppe Conte non avrebbe mai detto che neppure il Pd, in buona parte, pensa alla segretaria dem come candidata del centrosinistra unito per Palazzo Chigi alle prossime Politiche. «Elly Schlein premier? Perché, i suoi la vogliono?»: così ieri ha capziosamente titolato il Foglio un retroscena sui ragionamenti dell’avvocato del popolo nei corridoi di Palazzo Madama. «È stato evidentemente frainteso», si è affrettato a precisare l’ufficio stampa grillino, per non creare l’incidente diplomatico, «l’ ex premier ha solo sostenuto, dietro insistente domanda sul tema, che bisogna fare una cosa alla volta e prima quindi ci si deve impegnare per unire le forze». In nome di chi, si deciderà dopo.
Ma certo, che la precisazione è dovuta ma che in realtà il titolista non ha invece tutti i torti. Conte è il leader assoluto di M5S, è ambizioso, coltiva il sogno di tornare a Palazzo Chigi, del quale si sente tuttora privato a causa di un complotto di palazzo ordito dall’odiato Matteo Renzi con i dem, lo ringalluzzisce il fatto che da sempre i sondaggi gli attribuiscono una popolarità e un consenso personale superiori a quelli di cui gode la Nazarena. Tanto basta perché l’ex premier punti a tornare alla scrivania che fu costretto a lasciare per ritrovarsi a improvvisare conferenze stampa in un banchetto montato davanti a Montecitorio, immagine storica dell’avvocato senza seggio dell’ultima parte della scorsa legislatura.
Si penserà: ma è impossibile, visto che lui guida un partito che vale poco più della metà di quello di lei. Nulla è impossibile agli occhi di un avvocato di buon successo ma ignoto agli italiani che, all’indomani di elezioni nelle quali non si era candidato, è stato raggiunto al cellulare mentre si trovava a mollo in mare in quel di Gaeta, dove trascorreva la domenica estiva, per sentirsi chiedere dai grillini: “Che, Giuseppe, abbiamo preso il 34% dei voti, fanno 333 parlamentari ma non ce n’è neanche uno buono da presentare; per caso il premier lo vuoi fare tu? A proposito, non è uno scherzo telefonico”. Tempo di asciugare il costume e la cosa era fatta. Se è accaduto allora, perché non dovrebbe ricapitare adesso, che l’avvocato è diventato un leader, ha maturato esperienza da premier e lo conoscono tutti, con qualcuno che pure lo stima?
D’altronde, a parte Stefano Bonaccini, il segretario scelto dal partito al quale Schlein ha sfilato la poltrona grazie al voto del popolo delle primarie, si vocifera infiltrato da parecchi elettori grillini, quel che dice Conte è vero. Da Romano Prodi, che non perde occasione per tirarle lo orecchie, a Dario Franceschini, uno degli artefici della sua scalata, che ha lanciato la sinistra olonica, ognuno per sé al proporzionale, spartizione dei seggi con presentazione di un solo candidato per collegio e scelta del capo solo alla fine, fino ai riformisti, che neppure la ritengono una del Pd, Elly premier non convince la sinistra in generale e i suoi in particolare. Giorgia Meloni lo sa bene e ha costruito una proposta di legge elettorale per mettere il coltello nella piaga del centrosinistra.
È passata dall’idea del presidenzialismo a quella del semipresidenzialismo fino a un premierato di fatto che non necessita modifiche costituzionali: ogni coalizione deve indicare il candidato premier prima del voto. Potenzialmente una condizione che potrebbe generare fibrillazioni nel centrodestra; nei fatti, una bomba a orologeria nella coalizione avversa, dove il leader di M5S non riconosce la primazia della Nazarena perché, per lui, conta la persona, non il partito, e lui è convinto di valere, e piacere, più di lei. La strada è ancora lunga. La logica dice che M5S è costretto ad allearsi al Pd, perché altrimenti la sinistra perde e tutti daranno la colpa a Conte. Però l’ex premier è un freddo: se sotto data sarà stato trovato un federatore e i sondaggi diranno che il campo largo ha possibilità di vittoria, il leader grillino scenderà a patti; altrimenti continuerà sulla sua strada. In ogni caso, se dev’essere negoziato, non può che partire alla pari, quindi picconando Elly fino a farla scendere sotto il livello del partito che guida.
E poi, a indispettire l’ex premier è il fatto che la Nazarena continui a farsi corteggiare da Matteo Renzi, senza mai prendere le distanze, come a far capire che sul rottamatore nel campo largo non accetterà aut aut da M5S. Boccone duro da deglutire per l’avvocato del popolo. Comunque, al di là degli accordi sul territorio, funzionali a crearsi una credibilità e allevare una nuova classe dirigente, fino a quel momento non verrà formalizzata nessuna alleanza. Conte è in cammino. Deve ricostruire il contesto valoriale di M5S, ora che l’uno vale uno è stato gettato nell’immondizia e la decrescita felice non è più un programma spendibile. Lo sta facendo picchiando sul pacifismo, dove Schlein gli fa concorrenza ma con tante contraddizioni interne, sulla povertà, dove il Pd sconta anni di governo, sul giustizialismo, campo nel quale M5S ha sfilato da tempo il pallino mediatico ai dem e sull’ambiente.