Tre Paesi si ergono inflessibili contro l’Occidente. Cina, Iran e Russia. Altri Stati, come la Corea del Nord o il Venezuela fanno altrettanto, ma non hanno la forza dei Tre nominati sopra. Cosa ha in comune quella triade? A prima vista sembrano realtà molto diverse fra loro: una Repubblica Popolare controllata dal partito comunista, una Repubblica islamica gestita dalla gerarchia ecclesiastica e una Repubblica Federale sotto la sorveglianza dei servizi segreti. Ognuno ha il deep state che si merita, insomma.
Andando più in profondità, uno storico potrebbe notare: sono tutti Stati eredi di imperi secolari o millenari. Sono, del pari, fra i pochi posti al mondo dove l’influenza delle culture europee-nordamericane sia arrivata in modo molto meno potente che altrove. Si potrebbe anzi dire che i Tre non siano mai stati colonizzati dall’Europa né mai conquistati da potenze straniere, almeno dalla tarda età moderna in poi. Ciò è indubitabilmente vero della Russia, invasa a più riprese però mai sottomessa. È vero della Persia che, dopo la conquista arabo-islamica del VII secolo e dopo il dominio turco (fino al XII secolo) e mongolo (fino al XIV secolo), ha sempre mantenuto autonomia almeno formale. Quanto alla Cina, è sì passata attraverso lo shock di numerose umiliazioni – le sconfitte successive nelle Guerre dell’Oppio, nella Rivolta dei Boxer e con l’occupazione giapponese – e tuttavia il Paese non è mai stato colonizzato, a differenza di altri grandi Stati contemporanei, creati in tutto o in parte dalle Potenze europee. Si pensi all’India, al Brasile, al Sudafrica, o per certi aspetti al Messico.
Il secondo grande tratto distintivo comune a Cina-Iran-Russia, menzionato in apertura, è il fatto di discendere in modo più o meno diretto da forme statuali che l’Occidente non conosce più. Sono eredi di antichi imperi multinazionali o multietnici. L’Iran è composto da un centro etnicamente persiano cui si è saldata una periferia araba, azera, curda, belucia, eccetera. In Cina, similmente, accanto alla maggioranza Han (con tutte le sue differenze e sfumature interne) troviamo minoranze mongole, mancesi, turche (uiguri) e così via. Della multietnicità russa si sa tutto (popoli asiatici, del Caucaso e slavi).
Due sono i modi in cui si guarda a queste grandi realtà. Il primo, il più comune: si tratta di guazzabugli di popoli tenuti insieme dalla mera violenza del potere centrale, più o meno dittatoriale. Il secondo sguardo, forse più onesto: si tratta di guazzabugli di popoli tenuti insieme dalla mera violenza del potere centrale, come avviene in tutti gli Stati, multinazionali o nazionali che siano.
Osiamo portare come esempio un refrain della propaganda filo-putiniana: ammesso che l’Ucraina stia lottando per la sua indipendenza dalla sfera di influenza russa, che differenza c’è fra questa lotta e quella dei catalani contro il potere centrale castigliano? O che differenza c’è fra la repressione spagnola e quella voluta dal Cremlino?
INCONGRUENZE - Crediamo sia difficile controbattere in modo convincente, almeno da un punto di vista liberal, a questa affermazione. I russi, che da secoli provano a “diventare europei” senza riuscirvi, non cessano però di osservarci, spiandoci per metterci davanti al naso i nostri limiti, le nostre ipocrisie, le nostre incongruenze. Come nel caso della Catalogna. O in quello, più macroscopico, del Kossovo. In fin dei conti, è difficile separare completamente gli imperi da una parte e gli Stati nazionali dall’altra.
In Iran prevale l’elemento persiano e la confessione sciita. In Cina gli Han. In Putinlandia i Grandi russi (e se sei di Pietroburgo poi comandi su tutti). Russia, Iran e Cina sono imperi multietnici con una fortissima identità. Tutto l’opposto della ex Jugoslavia cui vengono erroneamente accostati. D’altra parte, anche l’Italia, che fu per almeno un secolo il modello delle rivoluzioni nazionali altrui (Sudamerica, Balcani, Turchia, Polonia), non è etnicamente omogenea. C’è l’Alto Adige ma non il Ticino, ci sono la Vallée e le valli provenzali del Piemonte ma non i villaggi italofoni dei Grigioni meridionali. Per tacere dei Walser, degli albanesi, dei catalani in Sardegna. Ancora meglio. Non è imperialismo, da parte ucraina, cercare di riconquistare il Donbass in prevalenza russofono o la Crimea? A questo punto Alessandro Orsini, se ci stesse leggendo, avrebbe avuto una eiaculazione. Precoxahilui. Perché, se è difficile dare torto al Cremlino quando accusa l’Occidente di drappeggiare i propri interessi tirando in ballo Kant e la pace perpetua, è comunque sano realismo politico aiutare Zelensky. Non stiamo con Kiev insomma perché è democratica o perché ci siano ragioni ideali per sostenerla, ma perché la Russia l’ha invasa nel tentativo di evitare che diventasse nostra amica. E se non staremo accanto sempre all’Ucraina, Mosca se la riprenderà. Perché la Russia non è mica una Jugoslavia qualsiasi.