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Giovanni Sallusti, Roberto Saviano e l'ossessione per la destra mafiosa

di Giovanni Sallusti lunedì 2 ottobre 2023

2' di lettura

Il vero mondo al contrario è quello di Roberto Saviano. A un certo punto deve aver abboccato alla parte in commedia che gli ha assegnato il varietà mainstream, deve aver creduto davvero a se stesso come oracolo. Da lì, ha smesso di essere anche un discreto propagandista, perché ha perso qualunque senso del limite, qualunque misura. Prendete il dialogo-fiume su La Stampa con Massimo Giannini. Piatto forte: «Una certa destra- quella così volgare da vincere le elezioni e non lasciare governare la sinistra, ndr - è alleata della criminalità».

Essì, mentre una volta «c’era una destra antimafia importante» (ci arriva, che non può insozzare la memoria di Paolo Borsellino), «l'attuale estrema destra al governo ha espresso la peggio politica, in stretta alleanza con il crimine organizzato». La Meloni mafiosa, i suoi luogotenenti mafiosi, la destra governativa (sempre “estrema”, nella fiction savianesca) mafiosa. Benissimo: o porta le prove, o circostanzia un minimo con nomi, fatti, carte, legami comprovati e reati commessi, o chiede scusa alla coalizione più votata dagli italiani. 

All’ “Io so” sacerdotale di pasoliniana memoria ci ha già giocato ai tempi di Gomorra, era una castroneria anche allora, e lui non è mai stato Pasolini. Dopo aver trafitto i mafiosi meloniani, il nostro spezza viceversa una lancia per questi agnellini della contemporaneità noti come “scafisti”. I quali “sono presentati come criminali oscuri”, poveracci, tutto “per non guardare in faccia i veri mandanti” (nella sua testa, anche se è difficile immedesimarsi, sarà una sorta di Spectre di colletti bianchi fascio-mafio-capitalisti, ovviamente contigua a Fratelli d’Italia). In ogni caso, “chi ha la responsabilità del motore è stato semplicemente scelto o costretto”. Poi, certo, può perfino capitare che “diventi violento”, scaraventi in mare persone, si dia alla fuga mentre affogano, traffichi in merce umana per sbarcare il lunario. Ma per l’amor di Dio, non chiamateli “criminali”. 

È ormai un classico del radical-chicchismo immigrazionista, lo scafista come ultima vittima della società. Un canone lasco e iper-comprensivo che, se s’imbatte in un esponente della “destra”, si capovolge immediatamente nel suo contrario, nel giustizialismo più inflessibile: mafioso a prescindere, avrebbe detto Totò. Che era un altro genio partenopeo della comicità, con una differenza: nel suo caso, era volontaria.

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