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Capezzone, l'ossessione dell'Onu: incolpare sempre Israele

di Daniele Capezzone domenica 15 ottobre 2023

5' di lettura

Inutile nella migliore delle ipotesi, dannosa nella peggiore. Senza alcun compiacimento e anzi con dolore lancinante nel doverlo constatare, è questa la sintesi della funzione svolta dall’Onu in pressoché tutte le crisi decisive degli ultimi decenni. Parto da un ricordo personale. Ero molto giovane, e negli Stati Uniti una delle personalità più note della galassia neocon, Michael Ledeen, mi sussurrò sarcasticamente: «Daniele, ce l’hai presente il Palazzo di Vetro a New York? È bello, vero? Ecco, bisognerebbe farne un immenso e prestigioso block of flats, vendere a caro prezzo quegli appartamenti in posizione splendida, e dare tutto il ricavato ai bimbi poveri del mondo. Allora forse l’Onu servirebbe finalmente a qualcosa». Lì per ß, pur non avendo mai particolarmente amato le Nazioni Unite, mi parve lo sberleffo di un pensatore acuto e talvolta desideroso di stupire, di épater le bourgeois. Ma, ripensandoci oggi, è maledettamente difficile non prendere sul serio quella rasoiata polemica.

Pensiamo alla questione rovente di Gaza. Da giorni Israele ha dato un ordine di evacuazione, e sta segnalando ai cittadini -con un massiccio volantinaggio- la necessità di spostarsi dalle zone che saranno interessate dai combattimenti. Ecco, l’Onu avrebbe il preciso dovere - per statuto - di attivarsi per aiutare, accelerare e assistere il processo di evacuazione. E invece? E invece non si sa cosa stia facendo l’Onu, a parte diffondere prese di posizione anti-Israele, come se pure le Nazioni Unite (speriamo inconsapevolmente) facessero sponda ad Hamas nel tentativo di scaricare su Gerusalemme i lutti dei prossimi giorni. Il gioco è tanto chiaro quanto insidioso: Hamas impedisce l’evacuazione, l’Onu traccheggia (e non ha nulla da obiettare rispetto al comportamento di Hamas sul tema), e i media già puntano i fucili contro Netanyahu.

CORRESPONSABILITÀ

Fonte: Onu Ma questa è solo l’ultima puntata di una sequenza di fallimenti o - peggio ancora - di corresponsabilità dell’Onu in troppe tragedie della nostra epoca. Prendi Srebrenica (luglio 1995): le truppe serbo-bosniache del macellaio Ratko Mladic massacrano 8mila musulmani bosniaci in un’area dichiarata zona protetta con un’esplicita risoluzione delle Nazioni Unite. Che fanno i 600 caschi blu Onu? Non intervengono per ragioni tuttora non chiarite. Prendi un anno prima (1994) il genocidio in Ruanda, crimine accuratamente preparato e pianificato da una classe dirigente nazionale peraltro stracorrotta anche grazie ai finanziamenti internazionali. Con rare e meritorie eccezioni (si pensi al militare canadese che preannuncia il rischio di massacri, e naturalmente rimane inascoltato), l’Onu non fa una piega, e non pochi dei funzionari all’origine delle peggiori scelte relative al Ruanda risulteranno premiati con favolose promozioni e carriere.

Prendi il Covid, con l’Oms (l’agenzia Onu specializzata per le questioni sanitarie) che ne esce malissimo: per i suoi ritardi, per essersi schiacciata a lungo sulla versione di comodo di Pechino, per linee-guida discutibili e contestatissime, per l’atteggiamento politicamente ambiguo - e invariabilmente filocinese- del suo direttore, l’etiope Tedros Ghebreyesus. Rileggere oggi le prime prese di posizione dell’Organizzazione, tra sottovalutazioni e mano costantemente tesa a Pechino, lungo tutto il mese di gennaio 2020, fa male al cuore. E la dichiarazione ufficiale della pandemia arriverà infatti molto tardi, soltanto l’11 marzo.

E prendi infine la guerra tra Russia e Ucraina, con l’Onu- ovviamente- paralizzata e afona, essendo in causa Mosca, cioè uno dei membri permanenti e con potere di veto all’interno del Consiglio di Sicurezza. La realtà è che le Nazioni Unite sono ormai un teatro in cui le peggiori dittature (Cina, Iran, Russia) collaborano fra loro e disegnano triangolazioni in chiave anti-occidentale, non di rado con autentiche provocazioni: è perfino capitato che l’Iran (lo stato sponsor del terrore islamista, lo stato della segregazione delle donne e della persecuzione degli omosessuali) abbia guidato il Consiglio per i diritti umani.

Venendo a Israele, l’Onu è posseduto da una vera e propria ossessione contro Gerusalemme. Nel 2022, l’Assemblea Generale dell’Onu ha approvato più risoluzioni critiche contro Israele di quanto abbia fatto contro tutte le altre nazioni messe insieme: per l’esattezza, 15 risoluzioni contro Gerusalemme e 13 contro altri paesi (6 contro la Russia, e una a testa contro Corea del Nord, Afghanistan, Myanmar, Siria, Iran e Stati Uniti). Per capirci: nulla contro Cina, Cuba, Venezuela, Arabia Saudita, Turchia.

Andando a ritroso nel tempo, il quadro si fa ancora più surreale. Tra il 2015 e il 2022, sempre l’Assemblea Generale dell’Onu ha adottato 140 risoluzioni su Israele e 68 su altri paesi. Per ciò che riguarda più specificamente il Consiglio per i diritti umani dell’Onu, dal 2006 al 2022 questo organismo ha approvato 99 documenti contro Israele, 41 contro la Siria, 13 contro l’Iran, 4 contro la Russia e 3 contro il Venezuela. Chiaro, no? L’unica democrazia del Medio Oriente viene trattata come uno stato-canaglia (e gli stati-canaglia sono invece trattati con i guanti bianchi).

ESEMPI

Andando a ripercorrere alcuni dettagli, c’è da trasecolare, come si può evincere da tre esempi letteralmente incredibili. Primo. L’organizzazione che si occupa dei profughi palestinesi, l’Unrwa, ha scelto una nozione e una definizione di “profugo” diversa da quella usata per tutti gli altri profughi nel mondo, quelli gestiti dall’Unhcr. Così, sono inclusi non solo quelli che sono scappati dalla Guerra di Indipendenza nel 1948, ma anche tutti i loro discendenti; nel caso di Unhcr, invece, si considerano solo coloro che sono direttamente in fuga da un conflitto. Così, il conteggio - tra profughi veri e finti - ha portato i profughi palestinesi da 750mila dopo il 1948 a 5,9 milioni oggi, includendo perfino persone dotate di cittadinanza americana ed europea. Del resto, è attraverso questa organizzazione che è stata assunta pure una quantità di “insegnanti” impegnati a predicare odio contro Israele.

Secondo. L’Onu, tramite l’Unesco, ha perfino cercato di sbianchettare la storia degli ebrei in Terra Santa. Si ricorderà la lunare risoluzione del 2016 che negava legami tra il popolo ebraico e il Muro del Pianto. E la cosa si è ripetuta rispetto alla tomba dei patriarchi ebraici, definita una “Palestinian heritage”. Terzo. Si è dovuto attendere il 1991 per rovesciare la dichiarazione del 1975 in cui l’Assemblea Generale definiva il sionismo come una forma di razzismo. Ora, si può essere presi dallo sconforto ricapitolando queste pagine scure. Ma - riesaminandole con freddezza- c’è un metodo in tutte queste follie: non solo tentare di incolpare Israele per qualunque ragione, ma molto peggio - offrire una sponda al radicalismo islamico per contestare il diritto all’esistenza di Israele. E in non pochi casi per far circolare il veleno dell’antisemitismo. 

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