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Mario Sechi, la necessità di alzare il livello di guardia

giovedì 19 ottobre 2023

3' di lettura

Giorgia Meloni ha chiuso la frontiera con la Slovenia. La guerra tra Israele e Hamas è una partita a risiko imprevedibile, il presidente del Consiglio ha fatto una scelta precisa, dettata dalla realtà della crisi in Medio Oriente. È un segnale politico importante, ora sono 9 gli Stati dell’Unione europea che hanno deciso di sospendere le regole di Schengen e ripristinare i controlli, tre dei quali confinano con l’Italia: Austria, Germania, e Francia. Tutti gli Stati europei stanno mettendo a punto misure per contrastare l’immigrazione illegale, l’Italia deve moltiplicare l’impegno per monitorare 8.300 chilometri di costa, in particolare la rotta del Mediterraneo Centrale, il meccanismo dei rimpatri deve essere accelerato, come dimostra la vicenda del tunisino che era sbarcato a Lampedusa nel 2011 e ha chiuso la sua esistenza a Bruxelles da terrorista e assassino nel 2023. Quanti Abdesalem Lassoued sono arrivati in Italia dalla crisi delle primavere arabe a oggi? Nessuno lo sa. Negare il pericolo non è un’idea intelligente, la realtà alla fine bussa alla porta.

Ieri sera a Palazzo Chigi Meloni ha riunito i ministri e i servizi segreti per fare un’analisi sulla guerra tra Israele e Hamas, valutare il potenziale impatto della crisi nelle sue varie dimensioni, “le ricadute sul rischio terrorismo” e “le proposte da portare al prossimo Consiglio Ue”. Ogni parola della nota di Palazzo Chigi ha un suo peso e significato, la scelta non è casuale. L’Italia è in uno scenario di estrema tensione, perché stanno convergendo gli interessi di più soggetti, vediamoli.

I trafficanti di esseri umani. Il nostro paese è il “bersaglio” di bande criminali organizzate in maniera capillare, la guerra in Medio Oriente è l’occasione per moltiplicare gli affari, il flusso con un allargamento del conflitto è destinato ad aumentare sia sulle rotte del Mediterraneo che in quella Balcanica. Negli Stati del Nord Africa, la base di partenza dei migranti verso il nostro paese, il conflitto ha acceso le proteste delle masse filo-palestinesi, le manifestazioni in Tunisia, in Egitto, in Libia, in Marocco, sono un gong che arriva fino allo studio del presidente del Consiglio. Uno scenario di rivoluzione nei paesi che guardano alle coste dell’Italia è un incubo, il risveglio delle primavere arabe che si sono rivelate solo dei gelidi inverni.

L’uomo del Cremlino. Poter aprire o chiudere il rubinetto dell’immigrazione illegale è un’arma eccezionale, soprattutto se finisce nelle mani di leader che sanno come utilizzarla. Qui abbiamo due soggetti, lo Zar e il Sultano, Vladimir Putin e Recep Tayyip Erdogan. I leader di Russia e Turchia in questo quadro sono al centro del campo da gioco: i colpi di Stato in Africa e l’assalto di Hamas per l’uomo del Cremlino sono la miscela ideale per destabilizzare l’Europa, in particolare l’Italia, paese di primo approdo dei migranti, nazione europea fondamentale per tenere unita l’alleanza che sostiene la resistenza dell’Ucraina contro l’invasione della Russia.

Erdogan cosa farà? La storia è maestra di vita e ci dà una risposta che è un possibile anticipo del suo schema di gioco. Saliamo sulla macchina del tempo, andiamo indietro a 8 anni fa. Dopo gli attentati a Parigi nel 2015, la strage del Bataclan, lo sguardo terrorizzato del presidente Francois Hollande, nello spazio di drammatici 16 giorni, dal 13 al 29 novembre, con la portaerei Charles De Gaulle al largo delle coste siriane, Erdogan agita lo spettro delle frontiere aperte ai profughi e ottiene dall’Unione europea un assegno da 3 miliardi di euro all’anno per controllare i confini con la Siria e chiudere la rotta balcanica ai migranti. Eccolo qua, il rubinetto dell’immigrazione, il fantasma del terrore. Quale sarà la strategia di Erdogan nella guerra tra Israele e Hamas? Quella di sempre, abilissimo nel giocare su più tavoli, il Sultano cercherà di capitalizzare, la posizione tra Oriente e Occidente della Turchia, basta voltarsi indietro, ci sono le impronte digitali sulla mappa.

Un anno fa Meloni arrivò a Palazzo Chigi con una guerra e una crisi energetica devastante, il suo biglietto da visita per i mercati fu una manovra da 30 miliardi studiata per contrastare lo shock geopolitico.
Dodici mesi dopo, Meloni deve fare i conti con l’impatto di due guerre, una crisi migratoria che minaccia di ingrossarsi, il rialzo dei tassi di interesse da parte delle banche centrali, un forte rallentamento dell’economia mondiale, la fine della politica del debito Ue, una legge di Bilancio ristretta a una ventina di miliardi. Sono tempi duri, Meloni sta costruendo la sua leadership di capo di governo in tempo di guerra.

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