Stavo guardando la trasmissione di Fabio Fazio su Discovery e a un certo punto ho pensato: che bravi, sono una potenza, perché fanno un programma noioso (ma ridono tutti), élitario (ma lo guardano in tanti), fazioso, ça va sans dire (ma venduto come equilibrato), dove gli ospiti e il bravo presentatore sono sempre d’accordo, si danno ragione senza pudore (e c’è chi pensa che quello sia un dibattito) in una scena dove non c’è mai una sorpresa. Il pubblico si sintonizza su Che tempo che fa perché Fazio, il bravo presentatore, lo rassicura: sei dei nostri, siediti qua, lo vedi che sei in prima fila, qui siamo tutti colti e intelligenti, leggiamo i libri del club dei lettori che contano, commentiamo i film giusti, usiamo le posate a tavola.
Come si chiama tutto questo? Sì, certo, è paraculismo, ma in realtà siamo di fronte alla tracotanza di un’élite che ha un programma politico preciso: mettere la destra tra parentesi, possibilmente senza mai citarla, ridurla a elemento inesistente del dibattito culturale. Si può fare? Altroché, lo ha fatto in maniera perfetta Fazio: parlava Patrick Zaki, non ha mai citato il governo Meloni al quale deve la libertà; gli invitati a discutere dell’attualità (Concita De Gregorio, Massimo Giannini, Ferruccio De Bortoli), dal caso del Giambruno a ruota libera alla guerra tra Israele e Hamas, erano d’accordo su tutto, nessun dissenso tra i pensosi ospiti, da Striscia la Notizia alla Striscia di Gaza brillava un solo pensiero, pace in terra e Israele si fermi.
I MIGLIORI
Fazio non aveva bisogno di contraddittorio, non lo vuole, lo costringerebbe a misurarsi con il giornalismo, una cosa inaudita. Gli ascolti sono eccellenti, il nemico in studio non c’è mai, il prodigio della sparizione è compiuto, non c’è tesi, non c’è anti-tesi, non c’è Hegel (e dunque neanche Carletto Marx, che almeno era una cosa seria). Restano gli applausi dei tele-convinti, sprofondati nella loro cadrega di autorità morale del “paese migliore”. Che spettacolo. Vabbè, ma quella è Discovery, suvvia, che pretendi? Niente, racconto il format, il testo e il contesto, soprattutto cosa significa saper far funzionare la macchina della televisione. Andiamo avanti, anzi giriamo canale.
Sull’altra riva del fiume televisivo, sulla Rai, servizio pubblico, cosa andava in onda insieme a Fazio? Report, con una puntata al cianuro sull’eterno Berlusconi che, avendo reso ricchi i suoi avversari della carta e della televisione, va tenuto in vita come nemico, dunque bisogna parlare del Cavaliere anche da morto. A urne aperte (non è servito, sono riusciti a perdere a Monza con l’affluenza ai seggi sotto i tacchi), Ranucci ci dava dentro con l’inchiestona sui soldi di Forza Italia, sulla persuasione occulta di Marta Fascina, sugli arcani contabili della famiglia Berlusconi. Un dejà vu che non è uno scoop ma è servito allo scopo: rassicurare gli ultras, i fattoidi quotidiani, i travagliati, gli sfascisti, i residuati bellici del Palasharp, del Popolo Viola, dei Girotondi, sigle che cambiano mentre loro non cambiano mai.
Non cambiano neppure i voti, restano quelli, come abbiamo visto con il risultato di Monza dove nonostante l’affluenza da depressione, la sinistra è riuscita a perdere. Sono contento per il gol del bomber Adriano Galliani, ma sul taccuino del cronista resta una domanda: dov’era il centrodestra nella prima serata della domenica in tv? Risposta: non c’era e se c’era andava in scena come bersaglio. Nel giorno della settimana in cui gli italiani guardano la tv in relax, con il cazzeggio del calcio e un po’ di politica e spettacolo con cui fare zapping, la maggioranza è o desaparecida o protagonista di un film splatter dove fa la parte della vittima.
LE ELEZIONI NON BASTANO
Squilla il telefono, è Guglielmo, un amico che mi prende in giro: «Hai già fatto il titolo in prima pagina di Libero, il giornale dell’opposizione?». Riepilogo delle puntate precedenti: il centrodestra ha vinto le elezioni politiche del 2022 nettamente, Giorgia Meloni è diventata premier, si è aperta una fase di governo che ha l’orizzonte della legislatura, tutti i turni elettorali dopo il voto del 25 settembre 2022 sono andati bene, Pd e Cinque Stelle sono sepolti da un cumulo di macerie fumanti, ma di questo primato in televisione, nell’editoria, nelle istituzioni culturali, nel cinema, non c’è traccia.
Se allarghiamo l’orizzonte, se usciamo dal giornalismo e andiamo verso i luoghi di contaminazione letteraria, il problema non è solo della domenica, è di ogni giorno. Si chiama egemonia, serve a dare forma e sostanza alle intuizioni, a illuminare l’anima, a regalare emozioni, non è una questione di partito, ma è profondamente politica, è l’immaginario di una nazione, il suo sentimento autentico, le ragioni dello stare insieme come italiani. Qui il centrodestra deve ancora costruire una strategia, è sopraffatto dalla sinistra, ma non c’è molto tempo perché gli effetti non si vedranno subito, ma bisogna ricordare sempre che vincere le elezioni è solo il primo passo, bisogna durare e convincere l’elettore quando si tornerà al voto. Tutto alla fine ha una logica, ecco perché a Libero siamo all’opposizione.