Sì, però vediamo di non buttarla in politica. Che, tra l’altro, con la piaga dei femminicidi c’entra nulla. Non è che uno (stronzo, perché tocca anche chiamare le cose col loro nome e quando riempi di botte tua moglie fino ad ammazzarla o la fai vivere nel terrore magari solo perché non vuoi che esca di casa, stronzo sei e stronzo rimani) uccide la propria compagna perché al governo c’è un esecutivo di centrodestra e basta. Ché «la cultura tossica del patriarcato e della sopraffazione» (cit. Elly Schlein) oppure quelli che «nella maggioranza definiscono l’educazione sessuale e l’affettività “una porcheria”» (cit. Laura Boldrini) son frasi che lasciano il tempo che trovano. E trovano un tempo che era meglio tacere. Dài, su. Signore Schlein e Boldrini: far diventare una caciara un problema reale, vero e drammatico, usarlo come pretesto per attaccare l’altra ala del parlamento è fuori luogo. Adesso e sempre. Però soprattutto adesso. Ed è anche un cortocircuito che rischia di ingolfarsi nella palude delle polemiche inutili.
I PRECEDENTI
E se oggi, 20 novembre 2023, parte il ritornello che il-governo-non-ha-fatto-abbastanza per evitare la morte, tragica, dolorosissima, di Giulia Cecchettin, cosa dovremmo raccontarci per quella di Angela Avitabile, uccisa a coltellate da suo marito Raffaele Fogliamanzillo a Rimini, il 22 aprile 2022 (al governo c’era Mario Draghi)? O per Elisa Ciotti, appena 35 anni, presa a martellate dal marito Fabio Trabacchin, a Cisterna di Latina, il 10 giugno 2019 (al governo c’era Giuseppe Conte)? O ancora per Nadia Orlando, morta strangolata dall’ex fidanzato Francesco Mazzega il primo agosto del 2017 (premier: Paolo Gentiloni) o per Elena Ceste, strangolata dal marito Michele Buoninconti il 18 ottobre 2014 (premier: Matteo Renzi) o per Fabiana Luzzi, che era una bambina, aveva solo sedici anni, quando il 25 maggio del 2013 il suo ex fidanzatino le ha inflitto venti fendenti che non l’hanno mandata subito al creatore, povera Fabiana, ha agonizzato per un’ora, dopodiché lui le ha pure dato fuoco (premier: Enrico Letta)?
Non era la stessa, allora, la «cultura tossica del patriarcato»? Non era la stessa la «sopraffazione», la prepotenza, l’indecenza? A scorrere le lunghe (tristi) liste di Femminicidioitalia.info, che è una sorta di database dell’orrore sulla violenza di genere, si legge che le donne uccise in Italia nel 2018 sono state 130, nel 2019 111, nel 2020 115, nel 2021 121 (tra l’altro in Germania, nello stesso anno, sono state 337, in Francia 228, in Gran Bretagna 207), nel 2022 124 e quest’anno 100. Numeri impressionanti, ma a cui occorre fare una tara perché non tutte le donne ammazzate rientrano nella categoria dei “femminicidi” che sono quelli attuati per, lo scrive il sito, per «perpetrare la subordinazione di annientare la soggettività sul piano psicologico, simbolico, economico e sociale, fino alla schiavitù alla morte»: così le cifre scendono a 73 nel 2018, a 67 nel 2019, a 63 nel 2020, a 61 nel 2021, a 56 nel 2022 e (sorpresa, però il dato è per forza di cose parziale) a 39 nel 2023.
DATI STABILI
Parlare di numeri è sicuramente poco edificante perché in quelle cifre ci sono storie, vite, sorrisi. Però le statistiche fotografano un fenomeno che è (purtroppo) pressoché costante nel tempo. È una questione culturale? Certamente sì. Però è una questione culturale che ci trasciniamo da decenni. E che nemmeno la sinistra, che oggi tanto s’indigna, è riuscita a risolvere.