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Milei, Trump, Boris Johnson: i "pazzi" che smascherano la sinistra

di Claudio Brigliadori lunedì 20 novembre 2023

4' di lettura

Eccolo qua, el loco. Javier Milei è il nuovo presidente dell'Argentina e la sinistra di mezzo mondo si chiede, ancora una volta: com'è possibile? Com'è possibile che tanta gente (per la precisione il 55,69% degli elettori) abbia scelto di mettersi nelle mani di un "pazzo"? Perché questo è Milei per la sinistra: un pazzo, una mina vagante, un errore della storia munito di gambe e magari di sega elettrica, come in uno dei video più famosi (e folkloristici) che lo vedono a un comizio tra i supporter promettere di fare a pezzi la spesa pubblica. Oppure quello in tutina da supereroe, il fantomatico Generale AnCap, che prometteva già nel 2019 di risolvere la crisi economica (e politica) che attanagliava Buenos Aires. Sempre al grido di "libertà", come il nome del suo partito e il coro, scatenato, che ha accolto la sua proclamazione. 

Milei saltava sul palco, dettava il ritmo ai sostenitori, urlava fino a perdere la voce. E intanto gli argentini che avevano votato per l'altro, "l'usato sicuro" Sergio Massa, erano per le strade abbracciati con gli occhi persi nel vuoto. Mai disorientati come la sinistra, specialmente quella italiana, che avrebbero preferito addirittura un peronista alla Casa Rosada, guarda un po'. Scene già viste, comunque, perché restando perlomeno nell'ultimo decennio, di momenti incomprensibili i progressisti ne hanno vissuti molti, moltissimi. 

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Si parte dalla Brexit, con il referendum indetto dal premier britannico David Cameron (conservatore, pettinatissimo, impettito, tutt'altro che imprevedibile) nella convinzione che l'azzardo cavalcato da Nigel Farage e dall'Ukip (da Londra a Bruxelles per portar fuori Londra da Bruxelles) si sarebbe schiantato nell'urna. E invece, il 23 giugno 2016, il 53,9% degli inglesi vota "out" e viene giù un pezzo di Unione europea. "Pazzi", "Suicidi", "Antistorici", si legge nei commenti sbigottiti di tanti editorialisti di casa nostra. Oggi, a 7 anni di distanza, si può discutere e criticare quella scelta, certo, ma nessuno ha più dubbi sul fatto che il suicidio sia stato di Cameron (sparito dalla scena) più che dei sudditi votanti. 

Qualche mese dopo, altro terremoto. Si vola Oltreoceano e Donald Trump, il tycoon celebrato come il Silvio Berlusconi d'America (per dileggio, parlandone degli eccessi verbali e degli amori ostentati per lusso, bella vita e donne), compie l'impresa del secolo sbaragliando Hillary Clinton. Impossibile, addirittura impensabile. Deve esserci un errore, magari lo zampino di Vladimir Putin. Già il fatto che Trump abbia convinto i repubblicani a sceglierlo come sfidante per la rassicurante paladina democratica è considerata un'eresia, figurarsi la vittoria finale in un Paese che per 8 anni aveva sposato in pieno la Obama-mania. Vuoi vedere che alla fine, dopo 8 anni, gli elettori americani ne avessero abbastanza del centrosinistra alla Casa Bianca? Inconcepibile, dev'esserci sotto qualcos'altro. Alla fine, nel 2021, Trump passa la mano a Joe Biden. Segno che la democrazia funziona, in entrambi i sensi. Per qualcuno però solo se si svolta a sinistra. E il fatto che The Donald sia pronto a riprendersi la Stanza ovale tra qualche mese pur avendo contro mezzo partito e con una vagonata di scandali e processi sul groppone dovrebbe aprire gli occhi a molti: sono fuori di senno gli americani, mandria di barbari con una carabina in mano, o semplicemente riescono a valutare i pro e i contro dei loro candidati e in qualche caso preferire tornare sui propri passi? I sondaggi che danno Biden a picco sembrerebbero confermare questa riflessione ma nei salotti buoni da Milano a Roma continuano a ripetersi: "Non può succedere". Proprio come quando la sua avanza, quella sera di novembre, mandava in frantumi exit poll, previsioni, analisi. La sicumera no, quella ai filo-clintoniani non è mai venuta meno. E ora sono pronti al bis?

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E che dire di Boris Johnson? Anche lui, studente scavezzacollo, gran viveur, sciupafemmine, giornalista scapigliato famoso per il piglio polemico e per le vicende extra-redazione, chioma a metà tra Rod Stewart e lo stesso Trump. Quando è diventato primo ministro britannico, nel luglio 2019, tutti a deriderlo (a sinistra) per la zazzera. Visto che non faceva presa, hanno cominciato a dargli del razzista, dell'islamofobo, dell'impresentabile. Siamo dalle parti del "scemo lui e scemo chi lo vota", se non ci fosse di mezzo la scelta della Regina Elisabetta. Si dimette nel settembre del 2022 per il peso della crisi economica e di qualche scivolone privato, tipo i party a Downing Street in pieno lockdown Covid. Passa la mano a Liz Truss, forse la premier più disastrosa di sempre nella storia mondiale. Un mese dopo, c'è chi parla di un clamoroso ritorno di BoJo. Quella volta, però, nessuno fa una piega forse perché gli assi meno "crazy" e più accettabili (la Truss, appunto, e lo stesso Cameron) si erano rivelati una sciagura.

Alla fine, tutti questi cavalli pazzi sembrano guardati male, malissimo non tanto per le politiche che sostengono, quanto per essere profondamente, intimamente "liberi". O perlomeno, per la loro capacità di proporsi come tali, fuori dal giro buono, dalla stanza in cui i potenti comandano e decidono per tutti. Loro promettono, o perlomeno regalano l'illusione, di potere, volere e sapere mettere un piede tra porta e stipite, entrare nel Palazzo, prendere il tavolo e ribaltarlo, magari pure canticchiando e fischiettando. Forse Milei, l'ultra-nazionalista Milei, l'ultra-liberista Milei, è semplicemente oltre. E si può permettere di fare una pernacchia in faccia a chi ha sempre guardato lui, e quelli come lui, con aria di disgusto. "Un po' di locura", avrebbe detto Renè Ferretti in Boris.

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