Tutt’ad un tratto Donald Trump s’è fatto paladino della “responsabilità di proteggere”. Ma in realtà, ha arringato la sinistra di mezzo mondo (il New York Times, il Guardian e, fatte le debite proporzioni, il Corriere), si tratta di suprematismo bianco. Gli afrikaner, infatti, minoranza bianca sudafricana che discende dai coloni olandesi, sono fastidiosamente pallidi.
E facilmente, diciamo noi senza temere di peccare di malizia, sono finiti in cima alla lista del programma per i rifugiati grazie allo zampino di Elon Musk, originario di Pretoria. Due caratteristiche insopportabili per i dem, che dopo aver difeso milioni di immigrati illegali, s’indispettiscono per 59 rifugiati che tre giorni fa sono sono partiti da Johannesburg per atterrare in Virginia. La ragione dell’accoglienza è presto detta: il presidente americano ha firmato un ordine esecutivo per sospendere gli aiuti statunitensi al Sudafrica e per offrire lo status di rifugiato agli afrikaner, sostenendo che una nuova legge favorisce la discriminazione razziale.
La norma, l’Expropriation Act, è stata presentata dal governo sudafricano come strumento necessario per la riforma agraria in una nazione che deve ancora smaltire l’eredità dell’apartheid. Consente l’espropriazione di terreni e, nel caso in cui sia «giusto e equo», senza elargire un indennizzo. L’interesse pubblico prevale sulla proprietà privata in determinate circostanze: nel caso in cui il terreno non sia utilizzato, per esempio, o non ci sia intenzione di trarne profitto o quando «non è ragionevolmente probabile che il proprietario ne abbia bisogno per future attività». Vincent Magwenya, portavoce del presidente Cyril Ramaphosa, ha spiegato che lo Stato «non può espropriare proprietà in modo arbitrario o per uno scopo diverso da... l’interesse pubblico».
Così confortante che il dibattito ha raggiunto la Corte Costituzionale. L’Expropriation Act non fa ovviamente distinzioni razziali per quanto riguarda i sequestri, ma i bianchi possiedono ancora tre quarti delle proprietà terriere.
Gli afrikaner sono quindi imputabili di essere di essere bianchi, proprietari di terre e discendenti di quei colonialisti che, ha detto Rick Stengel, ex redattore del Time e dipendente federale durante l’amministrazione Obama, «hanno creato il sistema di supremazia bianca più diabolico della storia». Colpe transgenerazionali. Eppure i media liberal, dall’Atlantic all’Associated Press fino a Voice of America, un tempo davano notizia dei danni causati dal governo di Ramaphosa, il quale ha incrementato il sistema di “Black Economic Empowerment” a vantaggio dei neri e ha ravvivato i conflitti razziali tanto da spingere gli agricoltori bianchi a seguire corsi di autodifesa per il timore di aggressioni. Ma era il tempo in cui Trump non era ancora tornato alla Casa Bianca. Il presidente, nell’attaccare il Sudafrica, ha anche sottolineato che Ramaphosa coltiva relazioni con l’Iran, giustifica le atrocità di Hamas e simpatizza con la Russia. Tutte caratteristiche che cozzano con la civiltà occidentale cara alla stampa dem.
Una polemica comprensibile sarebbe: perché allora non accogliere anche i venezuelani che fuggono dal brutale regime di Nicolas Maduro? O gli ucraini aggrediti da Vladimir Putin? O gli afghani torturati dai talebani? Se le persecuzioni sono sempre tali, il punto non è dire ai sudafricani che sono troppo bianchi e ricchi (e «codardi», è stato l’insulto del loro presidente quando li ha visti partire) per essere accolti.
La Chiesa evangelica americana, invece, non appena gli afrikaner sono atterrati, ha stracciato il contratto firmato con il governo per il reinserimento dei rifugiati: «Alla luce del fermo impegno della nostra chiesa per la giustizia razziale non siamo in grado di compiere questo passo», hanno comunicato. Aiutiamoli a casa loro.