Nello scontro senza esclusione di colpi tra armocromia e ragion politica, è ancora una volta la seconda a soccombere. Dando l’idea - a prima vista tragicomica, ma pensandoci meglio tragica e basta - di una segretaria del Pd totalmente priva delle coordinate minime richieste a una leader di partito, una specie di marziana, un soggetto evidentemente non a proprio agio nei panni di chi dovrebbe rappresentare un’alternativa credibile. E infatti, intervistata da Repubblica, Elly Schlein sceglie di presentare così il film da lei scritto, sceneggiato, diretto e interpretato. Titolo in prima: «Questo governo non durerà, presto il voto». All’interno, stessa musica sparata a tutto volume: «Meloni sta facendo disastri e non arriva al 2027. Prepariamoci al voto». Ora, alla Schlein sarebbe bastato scambiare preventivamente un messaggino su Whatsapp con uno a scelta nelle decine e decine di costituzionalisti filo Pd (quelli, per capirci, che ogni giorno si strappano vesti e capelli contro il progetto di premierato forte) per sapere che le Camere non le può sciogliere lei: quel compito spetta solo al Quirinale, non ad altri. Ma ad Elly dev’essere parso un dettaglio.
E del resto, ieri, dopo l’uscita dell’intervista, praticamente nessuno le ha fatto notare la clamorosa gaffe. Lo avesse detto qualcun altro (un esempio a caso: un esponente di destra), il malcapitato sarebbe stato azzannato alla gola, e accusato di attentare alle prerogative del Quirinale. Sarebbero seguiti retroscena su turbamenti e inquietudini sul Colle, contro-interviste scandalizzate, commenti choccati per lo sbrego costituzionale. E invece, trattandosi di Elly, gran silenzio.
Ma lasciamo da parte questo svarione. Il punto è tutto politico. Altro che scioglimento anticipato delle Camere: alle Europee potrebbe verificarsi lo scioglimento anticipato della Schlein, che appare pericolosamente squagliata nei sondaggi. Già una settimana fa, qui su Libero, vi avevamo raccontato della supermedia YouTrend/Agi, una media ponderata dei sondaggi Eumetra-Quorum-Swg-Tecnè relativi all’arco temporale 23 novembre-6 dicembre: peril Pd, si era registrato l’ennesimo record negativo della gestione di Elly Schlein, ben sotto la soglia psicologica del 20% (19.2%). E ieri è arrivata un’altra botta dal sondaggio dell’istituto Ixé, con il Pd precipitato al 18.9% (quaranta giorni prima, il 3 novembre, aveva mezzo punto in più, il 19.4%).
Una Caporetto pure sul piano della fiducia personale degli elettori verso la Schlein: appena il 27%, contro il 31.2% di settembre, e soprattutto confrontato con il 43% di Giorgia Meloni. Ecco, alla luce di questi numeri, che una leader così malmessa si spinga al punto di preconizzare la caduta del governo fa più ridere che piangere. In un posto normale (lontano dal Nazareno, questo è evidente), i termini del ragionamento sarebbero stati completamente capovolti: com’è possibile che nel momento più delicato per il governo (due guerre, qualche incertezza politica, un po’ di fibrillazione tra gli alleati, un andamento dell’economia migliore rispetto ai partner europei ma certamente non entusiasmante) il principale partito di opposizione non solo non guadagna terreno ma addirittura arretra?
Ciò che i sondaggi rivelano appare ulteriormente inquietante (per la Schlein) e tranquillizzante (per la Meloni). In che senso? C’è un qualche incremento dei grillini (secondo Ixé, dal 16.9% al 17.6%), ma, appunto, in una logica di travaso rispetto al Pd, senza alcuna capacità di uscire dal recinto di un 36% complessivo tra le due forze. Quello che può cambiare è dunque il dosaggio interno tra le due forze, ma senza la capacità di allargare il perimetro, di conquistare altri elettori, di convincere indecisi e astenuti, meno che mai di far spostare elettori collocati altrove. E allora questa situazione cristallizza un paio di effetti politici evidenti. Primo: l’opposizione è complessivamente percepita più come un’accozzaglia che come un progetto credibile di alternativa. Secondo: Schlein e Conte gareggiano tra loro, si rubacchiano qualche voto, calcisticamente parlando lottano entrambi per salvare la propria panchina proprio come due allenatori in bilico.
Non a caso, dalle loro parti, è tutto un volteggiare di gufi e avvoltoi: con Beppe Grillo che non perde occasione per infilzare Conte, più i vari Paolo Gentiloni e Maurizio Landini come aspiranti federatori della futura coalizione (in realtà come commissari liquidatori degli attuali leader di Pd e M5S). È in questo contesto che si situa l’intervista di ieri della Schlein. La scena ci sembra di vederla: le viene chiesta la solita intervista, sarà stata sollecitata da Repubblica a dire qualcosa in più delle solite banalità su fascismo e patriarcato, e lei - vittima dell’ansia da prestazione - deve aver deciso di spararla grossa. Nasce così lo scioglimento schleiniano delle Camere: ma era solo la proiezione autobiografica di un timore che la riguarda direttamente. Di essere sciolta e liquidata lei, dopo le Europee del 9 giugno prossimo.