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Daniele Capezzone: Pd, c'è un piano-Gentiloni per fermare Meloni

di Daniele Capezzone martedì 23 gennaio 2024

4' di lettura

No, stavolta non è necessario l’intervento di Hercule Poirote delle sue piccole cellule grigie per risolvere il caso: anche senza il mitico investigatore nato dalla penna di Agatha Christie, tutti gli indizi conducono inequivocabilmente a Paolo Gentiloni. È lui il prescelto per sostituire Elly Schlein, la cui liquidazione da parte della classe dirigente del Pd (e dei media di accompagnamento) procede a ritmo ormai acceleratissimo. È ancora lui l’uomo che dovrebbe fungere da collante per tenere insieme una coalizione che unisca Pd, M5S, Verdi, sinistra-sinistra, con contorno di calendiani e boniniani (sul recupero dei renziani si vedrà dopo).

E infine è di nuovo lui l’ultima risorsa di un vecchio establishment romano e bruxellese, dei mandarini italiani ed europei, che, non potendo sfidare Giorgia Meloni in campo aperto (e anzi sapendo bene che le Europee di giugno potrebbero portare alla premier un successo notevole in termini di consenso), puntano sull’opzione-palude, su un tentativo di imbrigliare il governo, di fiaccarlo, di ostruirne il cammino con difficoltà e intralci.

OBIETTIVO
2026 L’obiettivo è riaprire la partita: avendo in mente il referendum istituzionale del 2026 (da giocare con lo schema di un’ammucchiata indistinta anti-Meloni in nome dell’intoccabilità della Costituzione) e le successive politiche del 2027, in cui la stessa ammucchiata indistinta, incurante delle differenze programmatiche ma unita dal cemento dell’antimelonismo, dovrebbe presentarsi agli italiani come alternativa potabile.

Se si esaminasse la pratica attraverso le categorie della razionalità politica e del rispetto degli elettori, l’operazione non dovrebbe nemmeno cominciare. E non solo perché il governo italiano è oggiguidato da una persona indicata con indiscutibile nettezza dal risultato elettorale del 2022. Ma perché dall’altra parte non c’è unità su nulla, a partire dalla politica estera: che si tratti dell’Ucraina o di Gaza, il centrosinistra allargato non è in grado di esprimere una linea comune, e meno che mai una linea filo-occidentale. Eppure un po’ tutti chiudono gli occhi e fingono di non vedere il problema: l’unica cosa che conta è nel breve termine intralciare Meloni, nel medio mettere su un caravanserraglio, e nel lungo arrivare punto a punto nei sondaggi per rendere contendibile prima il voto referendario e poi quello politico.

Di tutta evidenza, in questa prospettiva, Elly Schlein non è più utile alla segreteria del Pd: vuole fare da sé, ignora i capicorrente che pensavano di imbrigliarla attraverso il solito “caminetto”, e per di più - minaccia terribile per la vecchia dittavorrebbe davvero candidarsi alle Europee: non perché abbia chissà quale progetto politico, ma almeno per consolidarsi sul piano del consenso. Ecco perché bisogna liquidarla. E allora a bordocampo si scalda già Gentiloni. Il quale - in una sorta di draghismo inevitabilmente minore - porta con sé una fitta rete di relazioni internazionali, è ascoltatissimo al Quirinale, e non è certo vissuto come un corpo estraneo (anzi: come un’entità amica e omogenea) dalle burocrazie romane e dell’Ue.

Politicamente parlando, Gentiloni non ha l’“ingombro” di convinzioni forti: e dunque può andar bene un po’ a tutti. Ai laici ma pure ai cattodem di Sant’Egidio, alla sinistra radicale ma pure ai centristi della coalizione progressista. Una spolverata di ulivismo e di prodismo farà il resto: dando l’idea (o l’illusione) di aver trovato una figura sufficientemente neutra e vaga, ma contemporaneamente scaltra e politicamente cinica, per offuscare le contraddizioni e tenere insieme tutto e il contrario di tutto. È evidente che buona parte del successo dell’operazione si giocherà entro giugno. 

L’obiettivo immediato è infatti quello di impedire alla Meloni di diventare con troppa facilità il perno delle future alleanze europee, eventualmente provando anche a disarticolare l’alleanza di centrodestra alimentando qualche faglia interna. Il fatto è che la leader di Fdi ha davvero la chance storica di diventare la figura chiave a Bruxelles dopo il 9 giugno prossimo. O (ipotesi più difficile) nel quadro di un’alleanza europea di centrodestra allargato in grado di mandare i socialisti all’opposizione, o (ipotesi assai più probabile) rideterminando in modo potente il dosaggio delle forze oggi egemoni nell’Ue e diventandone un elemento decisivo.

È evidente che ad alcuni questa prospettiva non piaccia, e che cerchino di ostacolarla. Un primo colpo - minacciando l’Italia sul piano dei conti pubblici l’ha sparato qualche giorno fa l’ineffabile lettone Valdis Dombrovskis, figura sovraordinata rispetto a Gentiloni rispetto al portafoglio economico della Commissione Ue. Ma politicamente parlando- per Gentiloni le parole aspre di Dombrovskis contro Roma sono state una gradevolissima sinfonia.

ISTITUZIONI E POLITICA
Resta una questione di non piccola rilevanza. Paolo Gentiloni non è un extraterrestre: è un politico, un politico del Pd. Se amiamo credere alle favole, e quindi se ci persuade l’idea che le istituzioni europee siano terze, asettiche, impermeabili ai veleni della lotta politica, allora possiamo fidarci di quel che raccontano, in stereofonia da Roma e da Bruxelles, i difensori di Gentiloni: i membri della Commissione - dicono costoro - fanno gli interessi dell’Ue e non quelli dei Paesi di provenienza, meno che mai quelli dei loro partiti di origine. Ma bisogna essere molto ingenui per accontentarsi di questa versione. La realtà è ben diversa: i commissari e la Commissione fanno - sempre e comunque - politica. 

Ogni atto, ogni parola proveniente dalle figure di vertice di Bruxelles (nessuna delle quali è peraltro frutto di elezione popolare diretta) può aiutare un governo nazionale oppure creargli una difficoltà. Figurarsi se poi una di queste figure ha esplicitamente ammesso di voler tornare presto alla lotta politica nazionale. E allora è tutto normale? Per molti mesi ancora, fino all’insediamento della nuova Commissione, assisteremo allo strano caso di un politico che, trovandosi nelle istituzioni comunitarie, le usa oggettivamente come veicolo per tornare alla battaglia politica italiana, utilizzando quello sgabello per ergersi a capo dell’opposizione? Occorrerà ricordarsene la prossima volta che – in ogni sede – sentiremo parlare di “senso delle istituzioni”.

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