Ciò che deve accadere, accade. La disunione dell’opposizione di cui il centrodestra ha goduto sinora non poteva durare. Il ricompattamento di ciò che si trova a sinistra della maggioranza è la prima conseguenza nazionale del voto in Sardegna. A costo di mettere insieme forze che, teletrasportate al governo del Paese, avrebbero posizioni inconciliabili non solo sull’economia, ma anche sull’energia, la politica estera e la difesa: temi che oggi, tra Ucraina, Russia, Israele e allargamento della Nato, pesano molto più che nel 2006, quando andò al governo l’Unione di Romano Prodi, crollata sotto il peso delle proprie contraddizioni. Ma sono problemi che, semmai, gli interessati si porranno in futuro. La logica dell’oggi dice che quei 2.650 voti di differenza tra Alessandra Todde e Paolo Truzzu hanno trasformato il “campo largo” nell’unico possibile modello vincente per l’opposizione, capace di attrarre anche gli indecisi e quelli che giuravano di voler fare il contrario. L’ennesima conversione di Carlo Calenda è lì a confermarlo.
RITORNO AL PASSATO
Qualcuno ricorderà il leader di Azione declamare in tempi recenti, proprio a proposito di elezioni regionali: «Noi non facciamo un’alleanza con il M5S perché riteniamo che quel modo di fare politica sia molto lontano da ciò che serve al Paese». È lo stesso Calenda che ieri, preso atto del risultato sardo (un magrissimo 1,5% per la lista “+Europa e Azione con Soru”), ha fatto inversione ad U: «È una lezione di cui terremo conto. Alle Regionali correre da soli non è fattibile e non lo faremo più». Parlare con Conte? «Alle Regionali è impossibile fare altrimenti». Perle Politiche si vedrà, c’è tempo.
È ciò che sperava Elly Schlein, che la incassa subito come «una bella notizia. Se ci concentriamo sulle cose da fare insieme, troviamo l’accordo». In serata, all’Huffington Post, aggiungerà che «finora si detto che l’alternativa non c’era. Ora non si può più dire». Più freddo Conte, ma anche lui tiene aperta la porta: «Da soli non si vince, però servono coesione ed alleati affidabili». Alfredo D’Attorre, dalla segreteria del Pd, spiega quale ruolo è previsto per i riformisti: «In quello che stiamo costruendo, una gamba di centro e liberale come Calenda e +Europa serve. Mi auguro che capiscano che esiste il centrosinistra e poi c’è la destra, non c’è altro». È la stessa logica che dette vita a quell’ammucchiata in cui convivevano Prodi e Bertinotti, Mastella e Bonino, Dini e Diliberto. Non è un caso che il primo precipitatosi a benedirla, ieri, sia stato proprio l’ex premier bolognese: «Il centro-sinistra più si unisce, più vince, non c’è niente fare».
IL PADRONE DEL CAMPO
Stavolta il perimetro dovrebbe inglobare tutta l’opposizione ad eccezione di Matteo Renzi e la sua Italia viva. Non si uniscono al coro, per ora, Benedetto Della Vedova e Riccardo Magi di +Europa, interessati solo a mettere insieme una «lista di scopo» che il 9 giugno possa superare lo sbarramento del 4%. In Sardegna hanno corso con Renato Soru, ma nelle Politiche del 2022 furono parte dell’alleanza di centrosinistra. Possibile, quindi, che entrino nel coacervo. Dove è scontata la presenza dei rossoverdi. Angelo Bonelli, socio di Nicola Fratoianni, è in prima fila tra coloro che esultano. «Sono ben contento che Calenda capisca che non c’è spazio per elementi che possano dividere. Degli errori si deve fare virtù».
Oggi, però, non c’è un federatore in grado di tenere tutti insieme. E i panni di Prodi sono troppo larghi per Paolo Gentiloni e Giuseppe Sala, per dire i due nomi che girano. Al ruolo di leader della “nuova Unione” ambisce Conte, il quale non ha alcuna voglia di portare acqua ai candidati del Pd. Anche ieri, all’indomani della vittoria sarda, ha ribadito che in Piemonte non intende appoggiare la candidatura della piddina Chiara Gribaudo: «Incontriamo difficoltà a condividere i medesimi obiettivi con le altre forze, in particolare con il Pd». Difficile che Calenda e i moderati rimasti nel Partito democratico accettino la leadership di un Conte che parla già da padrone del “campo largo”. Se però il M5S superasse il Pd alle Europee, il giurista di Volturara avrebbe qualche buona ragione per farlo. Per questo, il voto del 9 giugno ha già il sapore delle primarie di coalizione.
LE CONSEGUENZE A DESTRA
Per capire quali potranno essere le conseguenze per il centrodestra, bisogna leggere lo studio sulla contendibilità dei collegi fatto dall’Istituto Cattaneo all’indomani delle elezioni del 25 settembre 2022. Lì si avverte che «le tre principali forze politiche di opposizione», ovvero il Pd coi suoi cespugli, i Cinque Stelle e il cartello Azione-Italia Viva, «hanno una distribuzione “complementare” dei consensi tra i territori. Quindi, se in futuro riuscissero in qualche misura a sommarli, la competizione potrebbe tornare ad essere equilibrata». È la direzione in cui si stanno muovendo a sinistra. E il fatto che se andassero al governo si scoprirebbero divisi su tutti i temi più importanti non li rende meno pericolosi. Anzi.