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Giordano Bruno Guerri: anche la pace del papa ha il limite della guerra

di Giordano Bruno Guerri lunedì 11 marzo 2024

3' di lettura

Alla fine Papa Francesco l’ha detto, scegliendo con accortezza la televisione della neutrale Svizzera e usando l’abile dialettica gesuitica nella versione parroco di campagna: «La parola negoziare è una parola coraggiosa.

Quando vedi che sei sconfitto, che le cose non vanno, occorre avere il coraggio di negoziare. Hai vergogna, ma con quante morti finirà? Negoziare in tempo, cercare qualche Paese che faccia da mediatore. Oggi, per esempio nella guerra in Ucraina, ci sono tanti che vogliono fare da mediatore. La Turchia, si è offerta per questo. E altri. Non abbiate vergogna di negoziare prima che la cosa sia peggiore». Cioè, nella traduzione del bar parrocchiale (massimo un bianchino, niente superalcolici), Zelenskyj arrenditi, hai perso, dai a Putin il meno possibile di quello che vuole e finiamola qui: facciamo fare pure bella figura ai turchi musulmani e così siamo tutti contenti.

Tutto ciò ha una logica, visto dalla prospettiva della «Terza guerra mondiale a pezzi», secondo l’arguta e azzeccata definizione dello stesso Francesco: chiudiamone un pezzo, prima che il puzzle si componga sempre più. Tutto ciò è profondamente sbagliato secondo la logica risposta dell’ambasciata ucraina presso la Santa Sede: «È molto importante essere coerenti! Quando si parla della Terza guerra mondiale, che abbiamo ora, è necessario imparare le lezioni dalla Seconda guerra: qualcuno allora ha parlato seriamente dei negoziati di pace con Hitler e di bandiera bianca per soddisfarlo?».

Nel medioevo ci fu una diatriba interna interminabile per decidere se la Chiesa, portatrice evangelica di pace, potesse fare o approvare guerre. Si decise che c’erano guerre «giuste» e guerre «ingiuste». Erano giuste quelle approvate dal Papa, ingiuste tutte le altre. Con pontefici che volevano mantenere e accrescere la propria potenza terrena, la Chiesa menò molto le mani, anzi fu una delle sue attività prevalenti per mille anni, specialmente fra il IX e il XVI secolo. Nell’epoca contemporanea si dovette aspettare la Prima guerra mondiale perché Benedetto XV condannasse «l’inutile strage», e neanche allora la dichiarazione piacque a tutti. Il ministro degli Esteri italiano, Sidney Sonnino, dichiarò in parlamento che le parole del Papa sapevano «alquanto di comunicazione germanica». In Germania invece dissero che il Papa non voleva la vittoria degli imperi centrali. In Francia soprannominarono Benedetto «Papa crucco».

I suoi successori continuarono a condannare l’uso delle armi, ma erano guerre meno deprecabili di altre, soprattutto per il basso clero: furono «guerre giuste» quella d’Etiopia, per convertire un barbaro popolo africano; guerra giusta quella di Spagna, per salvare il cattolicissimo paese dal pericolo rosso; e guerra giusta anche la Seconda guerra mondiale, quando le armate nazifasciste tentarono di schiacciare l’anticristo annidato in Unione Sovietica. Più di recente, ricordiamo Giovanni Paolo II ammettere la necessità dell’«ingerenza umanitaria» (armata) nelle guerre dei Balcani e il presidente della Conferenza Episcopale Italiana, cardinale Camillo Ruini, tornare sul concetto di «guerra giusta» a proposito dell’Iraq.

Ora Francesco passa dal concetto ultramillenario di «guerre giuste», a quello di «negoziato giusto». Sembra un passo avanti e non lo è: non tutte le guerre erano «giuste», non ogni negoziato lo è. Questo non significa che Zelenskyj debba resistere finché l’ultimo muro e l’ultimo ucraino saranno in piedi. Significa che Europa e Stati Uniti devono continuare a fornire aiuti e armi all’Ucraina dimostrando a Putin volontà di resistenza e non di resa, finché sarà possibile o finché sarà lui a suggerire seriamente un negoziato.

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