Vladimir Putin aveva biso gno del voto (farsa) solo per battezzare con il rito dell’investitura “popolare” la sua leadership. La partita “elettorale” è stata il disbrigo di una pratica di intimidazione e violenza (eliminato Alexei Navalny, morto nel carcere del “Lupo Polare”; rinchiuso in cella un altro illustre dissidente, Oleg Orlov, condannato a due anni di prigione), chiusa con la formula del “plebiscito”, un artificio retorico fondamentale per tutti gli autocrati. A Putin serve per rafforzare il racconto sul “nemico esterno”, il carburante della propaganda di guerra. Lo scopo lo vedremo a breve nel bollettino del conflitto: accelerare l’invio in battaglia di nuove truppe, pianificare un altro assalto (sarà il terzo) di primavera -estate in Ucraina, provare a rompere su più fronti la linea dell’esercito di Kiev e costringere tutti a arrivare al tavolo del negoziato con le condizioni dettate da Mosca. Per questo la coalizione deve essere unita e la mossa pro intervento Nato del presidente Emmanuel Macron è una fuga in avanti.
Il polemificio italiano purtroppo non aiuta a capire quanto sia grande la sfida dei prossimi mesi (la tenuta del fianco orientale del Vecchio Continente) e la campagna elettorale per il voto europeo spinge i partiti a cercare di catturare - a destra e a sinistra- le frange di elettori scettici sul conflitto in Ucraina, pronti alla pace che è un nobile ideale che spesso nasconde solo una «resa».
Questo scenario è svanito nella giornata in cronaca, una grandinata di dichiarazioni contro Matteo Salvini, che alla fine Giorgia Meloni ha respinto ribadendo che contano i fatti concreti («la posizione del governo è molto chiara»), che la linea è nelle mani del premier e del ministro degli Esteri e non sono le parole di Salvini sul voto in Russia a dare la cifra dell’esecutivo, ma gli atti parlamentari della maggioranza, dove va ricordato che la Lega ha sempre sostenuto l’alleanza, appoggiato la linea atlantista per contrastare la guerra d’aggressione della Russia.
Nel frattempo, il mondo va avanti... Due pezzi sulla scacchiera dei giganti sono saldamente al loro posto (Putin e Xi Jinping), nel giro elettorale di quest’anno ne manca un terzo, quello più importante, il Presidente degli Stati Uniti. Anche in caso, una visione miope, colma di pregiudizio (e dunque sbagliata nelle premesse) fa perdere di vista cosa sta accadendo in America. Joe Biden è in grande difficoltà, rincorre Donald Trump, che ha mille guai, non ha i soldi per pagare una multa da 454 milioni di dollari, ma resta il favorito nella corsa alla Casa Bianca. Sono i dettagli a rivelare il clima, secondo il Wall Street Journal Trump sta valutando una prima terna di candidati alla Federal Reserve: Kevin Warsh, ex consigliere di George W. Bush; Kevin Hassett, già membro del Consiglio economico di Trump; e Arthur Laffer, l’uomo dell’omonima “curva”, consigliere di Ronald Reagan, uno dei teorici dell’economia dell’offerta, sostenitore del taglio delle tasse varato da Trump nel 2017. Il team del candidato repubblicano già lavora alla squadra, nonostante le ombre su The Donald siano grandi.
Sono particolari che raccontano una realtà che nel dibattito pubblico non emerge, sommersa dalla polemica del giorno. Eppure quello che sta accadendo è un segnale d’allarme, il gong di una campana, un bagliore nella notte. Cosa sta succedendo?
Il presidente russo sta rafforzando la sua guerra di logoramento nel cuore dell’Europa; la Cina resta alla finestra, con lo sguardo benevolo verso Mosca, mentre acquista energia a sconto dai giacimenti della Russia, aumenta la produzione della sua economia autarchica e scatena una guerra dei prezzi nell’esportazione di prodotti della manifattura (l’auto elettrica); gli Stati Uniti intanto si preparano a eleggere il prossimo presidente, tra i due candidati il favorito si chiama Trump, un tipo sulfureo che fa la campagna presidenziale contro la Nato e studia una politica fiscale che sarà una freccia dritta al cuore dell’economia dell’Europa.