Va bene: si sa che un’elezione proporzionale (con preferenze) è per definizione un gran bazar. Ogni lista allestisce e mette in mostra il suo variopinto campionario di casi, di storie, di attrazioni e – in qualche circostanza – di perline colorate per incantare e abbagliare gli elettori più distratti.
Però – avrebbe detto Totò – qui si esagera. E il qui è riferito al Pd e alla sinistra in genere. Quella che sta venendo fuori alla vigilia delle Europee è infatti una specie di confusa pesca delle occasioni: si mette in pole position un atlantista ma pure un pacifista filo-Putin, si inserisce un pro-Zan ma pure un anti-Zan, e così via. E allora (su questioni tutt’altro che marginali) diventa impossibile capire quale sia la linea del principale partito di opposizione. Un conto sarebbe definire un posizionamento chiaro e inequivoco (di politica estera, oppure in economia, o anche sui diritti, eccetera) e poi al massimo prevedere delle eccezioni, una sorta di diritto di tribuna garantito al portatore di una nuance differente. Altro conto è invece allestire consapevolmente un caravanserraglio in cui c’è tutto e il contrario di tutto. È quest’ultima – temiamo – la soluzione prescelta da Elly Schlein e da chi la consiglia: e serve per poter fingere di essere riformisti ma al tempo stesso per contendere voti ai grillini su un terreno massimalista. Risultato? Alla fine della fiera nessuna contraddizione sarà sciolta, e – comunque vada a finire il gioco delle percentuali – a urne chiuse sarà la moneta cattiva ad aver scacciato quella buona (o meno peggiore). E così, a sinistra vinceranno i grillini comunque: o quelli “ufficiali” del Movimento 5 Stelle o quelli “paralleli” imbarcati e portati in processione dal Pd.
E attenzione, non finisce qui. Perché oltre alle candidature che segnalano una contraddizione irrisolta, vanno considerate quelle che invece appartengono a un classico intramontabile della sinistra: e cioè le “figurine”, i volti scelti in quanto soggetti esponenziali di campagne che non hanno alcuno sbocco di governo di un certo fenomeno sociale, ma sono concepite soltanto in funzione di propaganda. Serve il volto immigrazionista? Arriva Cecilia Strada. Serve la giornalista anti-destra? Ecco Lucia Annunziata. Serve l’antifascista professionale? È già pronto il mitico Paolo Berizzi.
E qui occorre aprire una parentesi. Una vasta e non di rado bizzarra letteratura circonda da tempo immemorabile la mitica “Area 51”, la base militare Usa nel deserto del Nevada che, per i suoi elevatissimi standard di segretezza, ha stimolato la fantasia di complottisti e autori fantasy. In particolare, è fiorentissima la produzione di storie e aneddoti su presunti avvistamenti di Ufo, di oggetti volanti non identificati. Direte voi: e questo che diavolo c’entra con la preparazione delle liste del Pd per le prossime elezioni europee? C’entra eccome: al Nazareno, non ci sono (per il momento) gli avvistatori di Ufo, ma in compenso abbondano gli avvistatori di fascisti.
E così pare abbastanza probabile che il capolista a Nord-Ovest (o a Nord-Est, questo non si sa ancora) sarà nientemeno che il leggendario Berizzi, la firma di Repubblica ormai specializzata nel ruolo di acchiappa-fascisti. Mettiamola così: se fosse un attore, potremmo dire che Berizzi ha esagerato con il metodo Stanislavski, nel senso che è entrato un po’ troppo nella parte. Ci crede, assume un’aria ispirata e quasi ieratica, sacerdotale, anzi da esorcista che scaccia gli spiriti maligni. Sui social, visto che ogni giorno individua nuovi pericolosissimi indizi del ritorno del fascismo, raccoglie pernacchie e sberleffi. Ma lui non si scompone: semmai pare sempre più immerso nella parte del martire.
Spopola un suo video del settembre scorso alla Festa dell’Unità di Ravenna, dal quale estraggo fior da fiore. Berizzi interroga se stesso: «Tu vedi fascisti ovunque. Ma dove li vedi oggi tutti questi fascisti?». Risposta ispirata: «Al governo». Poi – nel suo flusso di coscienza – Berizzi passa a rivolgersi direttamente ai nemici: «Al massimo direte che siete stati male interpretati. Ma intanto l’osceno è passato, e voi avete rialzato la testa».
E qui scatta il fervorino ai compagni: «Un grosso errore del campo progressista è stato considerare il fascismo un fatto storico finito. Il fascismo non è finito, prende solo nuove forme e le stiamo vedendo». E allora che si fa? Berizzi ha già la ricetta pronta: «Serve un nuovo comitato di liberazione nazionale, con un obiettivo: fuori i fascisti dallo Stato».
In ogni caso, sparacchiando giaculatorie antifasciste, Berizzi è già pronto. Tra qualche giorno esce (per l’editore Rizzoli) la sua ultima fatica. Copertina con due braccia inequivocabilmente tese, e titolo che non deluderà i suoi fans: “Il ritorno della bestia – Come questo governo ha risvegliato il peggio dell’Italia”. Sarà un’esperienza psichedelica seguire la sua campagna elettorale, nella quale lui e i suoi cari scorgeranno fascisti ovunque. Magari non si accorgeranno degli antisemiti nelle piazze di sinistra, nelle università di sinistra, in qualche caso nei giornali di sinistra. Ma i fascisti (pur del tutto inesistenti) no: quelli non gli sfuggono né gli sfuggiranno.