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Luca Beatrice: le pagelle del Salone, bocciati i violenti pro-Gaza e gli scrittori piagnoni

di Luca Beatrice lunedì 13 maggio 2024

3' di lettura

Finalmente capisco la differenza tra temperatura reale e temperatura percepita, la sensazione di sentire più freddo o più caldo rispetto ai gradi segnati dal termometro, per via dell’umidità o di qualche altro fattore. Qui al Salone del libro di Torino è infatti palpabile la differenza tra il dentro e il fuori, tra ciò che accade davvero e ciò che ti vogliono far credere. Sabato pomeriggio, mentre i manifestanti pro Palestina cercavano invano di forzare il blocco per entrare di prepotenza all’interno del Lingotto, con conseguenze caotiche e rischio per l’incolumità altrui facilmente immaginabili, all’interno tanti cittadini che avevano pagato il biglietto passeggiavano tra gli stand a comprare libri, in coda per ascoltare l’autore preferito o per il firmacopie. Gente di tutti i tipi, pacifica, famiglie con bambini, moltissimi giovani, ulteriore testimonianza che i giovani non sono solo quelli che berciano nei cortei in kefiah minacciando l’occupazione delle università, la maggior parte dei ragazzi vuole solo studiare e ne ha le scatole piene di continue esternazioni ideologiche, anzi prova fastidio a essere assimilata a quella congerie di facinorosi, fannulloni, parassiti. 

Dopo aver terminato le presentazioni cui sono stato invitato, con un occhio al telefono per informarmi se all’esterno ci fossero novità, ho parlato con diversi autori, colleghi, operatori del settore e quasi nessuno sapeva davvero cosa stava succedendo nel piazzale di fronte ai padiglioni. Gli echi del mondo di fuori davvero smorzati, e anche se il sistema della cultura continua a esprimersi su posizioni fin troppo unilaterali, la verità è che alla stragrande maggioranza dei visitatori del Salone, addetti ai lavori compresi, del corteo non interessa nulla o quasi, d’accordo la solidarietà con chi soffre ma adesso per favore lasciateci lavorare, lasciateci godere la piacevolezza di un sabato pomeriggio a curiosare tra gli scaffali e seguire gli incontri.

In questa storia annunciata e largamente prevista c’è chi ne esce bene e chi malissimo. Un plauso alle forze dell’ordine perfettamente lucide nel controllare la situazione e ridurre i rischi ai cittadini per bene, che ripeto sono la maggioranza, i due tentativi dei manifestanti di forzare i blocchi sono stati brevissimi, subito respinti giusto per far capire che proprio non era aria. Bisogna ammettere che ha funzionato anche la strategia dei vertici del Salone del libro nel tirare lunga la “trattativa”, aspettando che il grosso del pubblico scemasse, efficace rispetto a ciò che accadde lo scorso anno con il ministro Roccella, quando l’allora direttore Lagioia si schierò con i manifestanti, un rappresentante delle istituzioni non può mai legittimare la violenza, anzi non ci deve nemmeno parlare.

La lista di chi invece ha recitato una pessima figura comincia con i tanti troppi autori opportunisti nel compiacere frange estreme; per tutta la settimana hanno aizzato i manifestanti, utilizzato il pubblico spazio con dichiarazioni incendiarie, chiamati per parlare dei loro libri e venderli si sono concentrati su esternazioni vittimistiche, blaterando di censura mentre erano lì sullo strapuntino e per giunta pagati. La temperatura reale dice che nonostante l’attenzione di troppi media appecoronati, sono rumorosi, fastidiosi, falsi come Giuda, ma una minoranza nella vita reale e attenzione perché anche il mondo della cultura dove hanno ruminato indisturbati per decenni li sopporta sempre di meno, a cominciare proprio dai lettori non così fideisti come vogliono farci credere. Altra figura barbina, gli editori del gruppo Meltemi che sabato hanno chiuso anzitempo gli stand in solidarietà ai manifestanti, uscendo insieme a loro con la bandiera palestinese. Uno su mille, un gesto che non vale nulla se non insano esibizionismo e che infatti non è stato raccolto. Gli altri, tutti gli altri, persino gli alternativi e i militanti sono rimasti a vendere libri.

L’oscar dell’irresponsabilità va però alla giunta comunale torinese per aver di fatto legalizzato il centro sociale Askatasuna, famigerato luogo che organizza da anni tutte le aggressioni nel centro cittadino, i cui abitanti abusivi, persino difficile definirli militanti di sinistra, sono tossici, borderline, individui pericolosi, si sono resi protagonisti di ogni manifestazione sfociata nella violenza.
Chiunque sapeva che il tentato assalto al Salone del libro sarebbe partito da lì, ma se legittimi situazioni del genere diventa poi difficile controllarle, anche se qualcuno continua a pensare che siano bravi ragazzi, solo un po’ eccessivi.

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