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Mario Sechi: abbattuto il totem, indietro non si torna

di Mario Sechi giovedì 23 maggio 2024

3' di lettura

Parto dal nocciolo politico della storia: Giorgia Meloni ha dimostrato, ancora una volta, di essere un leader che sa decidere e si fa guidare nelle sue scelte da un sano pragmatismo. Il premier ha agito con rapidità e chiarezza, ha sospeso tutto e si tratta di un’ottima notizia. Le nostre idee le abbiamo esposte in maniera cristallina ieri in prima pagina con Daniele Capezzone («Giorgia pensaci tu»), gli italiani meritano un Fisco diverso e siamo convinti che Meloni possa riuscire nell’impresa.

Le tasse non sono né belle né brutte, non sono un problema estetico, ma devono essere per forza eque e lo Stato nell’esigerne il pagamento non può trasformarsi in tiranno.

Il redditometro è naturalmente nemico del contribuente, è anche un esempio di pericoloso conformismo fiscale, un caso esemplare di “pilota automatico” ministeriale: i provvedimenti corrono tra gli uffici tecnici e legislativi, vanno alla firma, vengono pubblicati in Gazzetta Ufficiale, viaggiano in una realtà parallela, ma quando il frutto della burocrazia atterra nella vita quotidiana, diventa un problema politico. Il redditometro ha una storia lunga, l’accertamento sintetico del reddito era previsto già nella riforma fiscale del 1973 di Bruno Visentini, nel 2010 fu l’esecutivo di Silvio Berlusconi (sì, proprio lui) a introdurlo, seguirono vari governi e varie modifiche.

Il viceministro delle Finanze, Maurizio Leo, con l’intenzione di proteggere i contribuenti limitando il potere discrezionale dello Stato, ha risvegliato il vampiro (non a caso l’ex ministro delle Finanze Vincenzo Visco, noto alle cronache come Dracula, l’altro ieri esultava). Siamo all’eterno ritorno dell’uguale tributario, sbagliato fin dal principio, perché parte dal rovesciamento dell’onere della prova a carico del contribuente, si fonda su un meccanismo di “sfiducia distruttiva” contro il cittadino, un’idea profondamente illiberale, un metodo invasivo, inquisitorio e intimidatorio. Conosco onesti padri di famiglia travolti da questa macchina infernale, persi nel labirinto delle Entrate dal quale non c’è via d’uscita.

Si vota, il sistema proporzionale favorisce il tutti contro tutti, le tasse sono un boccone troppo ghiotto per tutti, compresi gli alleati del premier, dunque non sorprende che Forza Italia e la Lega abbiano cercato di capitalizzare il caso del Redditometro. Come naturalmente non è strano vedere confermata la furia gabellatrice della sinistra, un monito che gli elettori non devono mai dimenticare, la vera differenza, lo spartiacque tra i conservatori e i progressisti. A patto che i conservatori le tasse le riducano, facciano propri gli insegnamenti di Ronald Reagan e di Margaret Thatcher sul fatto che come diceva il grande presidente americano «lo Stato non è la soluzione, ma il problema».

Sono passati decenni ma alcuni principi restano, il primo dei quali è che quando il fisco è un moloch, alla fine limita la libertà personale, diventa un fenomeno patologico che mina il rapporto tra le istituzioni e i cittadini che votano. In fondo il pasticcio del Redditometro ha un benefico effetto, mette sul tavolo del voto europeo una questione concreta, marca un confine preciso, leva la maschera a tutti.

Giorgia vada avanti e ricordi una lezione di Luigi Einaudi: «La frode fiscale non potrà essere davvero considerata alla stregua degli altri reati finché le leggi tributarie rimarranno, quali sono, vessatorie e pesantissime e finché le sottili arti della frode rimarranno l’unica arma di difesa del contribuente contro le esorbitanze del fisco». Le democrazie nascono sulla questione fiscale («No taxation without representation», Rivoluzione americana), i Torquemada delle tasse sono nemici della libertà, è una questione di fiducia che non si può più dare in bianco a nessuno. Meloni ha tirato giù il totem, non si torna indietro.

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