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Senaldi: paradossi italici, colpevoli in fuga e innocenti tenuti agli arresti

di Pietro Senaldi giovedì 4 luglio 2024

4' di lettura

La premessa è che Libero è, e resterà sempre, un giornale garantista. La precisazione è che non bisogna confondere i garantisti con i fessi. La realtà è che il sistema di giustizia italiano è talmente stracotto da essere garantista con gli assassini condannati, al punto da consentire loro la fuga, e persecutorio con i presunti innocenti fino a prova contraria, spesse volte arrestati e tenuti privi della libertà per mesi anche senza essere rinviati a giudizio. È la cronaca di questi giorni ad avvalorare la riflessione. La Cassazione ha confermato l’ergastolo per l’imprenditore bresciano Giacomo Bozoli, già condannato in primo e secondo grado per aver ucciso lo zio, facendone sparire il corpo nell’altoforno della fonderia di famiglia. Il processo è durato nove anni e si è concluso con i carabinieri che, bussando alla porta per arrestarlo, hanno dovuto constatare che l’uomo si è dato alla macchia, in Maserati, con moglie e figlioletto di nove anni.


Da una settimana nessuno lo vedeva in giro e da circa dieci giorni il suo telefonino era silente. Nella speranza che si tratti di una fuga, e non di una tragedia ben peggiore, si tratta di una storia esemplare di malagiustizia. Doppia per la verità, considerando che Bozoli già una prima volta era quasi riuscito a farla franca: l’indagine sulla sparizione dello zio era infatti incanalata da tre anni su un binario morto, quando la prese in mano, con atto d’imperio, il procuratore Peri Luigi Dell’Osso, per poi arrivare all’individuazione di un colpevole e a una (tripla) condanna. Oggi la magistratura sostiene che non ci fosse ragione per privare l’imprenditore della libertà prima della pronuncia definitiva, perché in primo grado e in appello aveva sempre manifestato un comportamento razionale e collaborativo. Però, possibile che non venga il sospetto a nessuno che un ricco uomo di quarant’anni, se gli dai nove annidi tempo per organizzarsi, non sia tentato di provare a costruirsi una seconda vita dall’altro capo del mondo piuttosto che passare in cella il tempo che gli manca alla pensione? Forse una, discreta, azione di monitoraggio del due volte condannato avrebbe potuto essere condotta, senza ledere le garanzie dell’imputato. Probabilmente Bozoli sarà catturato a breve. Gli inquirenti spiegano che la fuga a tre, perdi più senza passaporto, perché l’uomo non l’ha rinnovato, è impossibile alla lunga. Tuttavia al momento la figuraccia c’è tutta, ed è innegabile.


È impossibile, analizzando la vicenda di Brescia, non pensare a quanto sta avvenendo a Genova. Da ormai due mesi in Liguria un presidente di Regione è tenuto agli arresti domiciliari, impossibilitato a esercitare il mandato per il quale è stato scelto a larga maggioranza dagli elettori, sulla base di sospetti e presunzioni, senza essere neppure stato rinviato a giudizio. I pubblici ministeri che lo indagano, e il giudice preliminare che ne ha firmato gli arresti, respingendo ogni richiesta di revoca, hanno spiegato che Giovanni Toti deve rimanere chiuso nella sua casa di Ameglia perché non si è dimesso, quindi potrebbe ripetere il reato o inquinare le prove. Questo, peraltro, benché i suoi presunti complici siano tutti agli arresti. Dobbiamo ancora indagare, spiegano i magistrati, che pure stanno indagando da oltre tre anni, e fino al 7 maggio scorso lo hanno fatto all’insaputa del sospettato.


Lunedì probabilmente il Tribunale del Riesame si pronuncerà sull’ennesima richiesta di libertà presentata dal governatore, il quale ha già annunciato ricorso in Cassazione in caso di verdetto sfavorevole. I presupposti per privare della libertà un indagato sono pericolo di fuga, inquinamento delle prove e reiterazione del reato. Escluso il primo, che nessun magistrato ha mai contestato a Toti, restano le prove, difficilmente alterabili visto che il sospetto è monitorato costantemente e, soprattutto, ha ammesso tutti i fatti che gli sono stati contestati, eccependo solo che non si tratta di reati ma di comportamenti legittimi. Quanto alla ripetizione, le vicende corruttive di cui il governatore è sospettato si sono concluse tutte, comprese le scadenze elettorali, non alle viste fino alla scadenza del mandato, non più rinnovabile per legge.


Ecco allora confermato il sospetto che tutti gli osservatori delle vicende giudiziarie si portano avanti almeno dai tempi di Tangentopoli. I nostri magistrati sono pronti a concedere il massimo delle garanzia per quanto riguarda la cronaca nera, ma se l’indagato è un politico, la bilancia della giustizia si inclina. Il politico è un sospettato diverso dagli altri: finché non si dimette viene trattato come un presunto colpevole e non come un presunto innocente, anche se in oltre i due terzi dei casi, alla fine della sua odissea giudiziaria, si rivela tale, diventando quindi un perseguitato dallo Stato, anziché un membro della casta. Questo capita ormai quasi indifferentemente, a seconda che il politico sia di centrodestra o di centrosinistra, con solo una leggera prevalenza di accanimento nei confronti dei primi. Sensibilmente di più, invece, sono gli indagati di centrodestra rispetto a quelli di centrosinistra. Si potrebbe pensare che ciò accada perché violano di più la legge, non fosse che nella stragrande maggioranza dei casi sono invece stati tutti assolti. Dal che è lecito supporre che l’occhio destro del pm veda meno bene di quello che guarda a sinistra, ma questa sarebbe materia per ben altri ragionamenti. Per ora preme ricordare che abbiamo un assassino alla macchia per scarsa vigilanza e un presidente di Regione agli arresti e impossibilitato a governare in attesa di chiusura di indagine.

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