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Matteo Ricci inchiodato: quando chiedeva le dimissioni di Toti e Santanchè

di Francesco Storace giovedì 24 luglio 2025

3' di lettura

Il bello è che di Ricci a rischio lo sapevano anche nel suo partito. Eppure lo hanno candidato lo stesso alla presidenza della regione Marche (ditelo ad Alessia Morani, già deputata Pd e ora candidata a sostegno dell’ex sindaco di Pesaro un po’ azzoppato).

Garantista, ma però. Questa sembra essere la postura di Matteo Ricci, un altro dei campioni del rispetto delle regole a seconda dei casi. Parlano per lui le prese di posizione su Matteo Salvini e Open Arms, sulle richieste di «passi indietro» – è più fine – per Santanchè e Toti, le rasoiate a Delmastro e potremmo andare avanti a lungo. Ma se si tratta di personaggi di dubbio gusto come Ilaria Salis e il professor Christian Raimo, eccolo correre ad abbracciarli a mezzo social. Una presa di posizione positiva però Ricci la esprime, quando si schiera anche contro il suo partito, il Pd, sull’abolizione dell’abuso di ufficio, tema particolarmente sentito dagli amministratori locali. Giustamente da tutelare, dal suo punto di vista...

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Ma nel suo medagliere spicca l’intervista che ha rilasciato ieri al Corriere Adriatico l’ex governatore rosso delle Marche, Ceriscioli, che ha rivelato un particolare sul coinvolgimento di Ricci nell’inchiesta di Pesaro, su cui proprio la Morani aveva rimproverato esponenti politici e commentatori del centrodestra, a partire da Italo Bocchino, col suo «Come facevano a sapere che Matteo sarebbe stato indagato?». Ebbene, pare che fosse notizia non proprio segreta, stando alle parole del compagno Ceriscioli: alla domanda “Potendo tornare indietro, pensa sarebbe stato meglio puntare su un altro candidato?”, l’ex governatore risponde senza negare alcunchè. «Ho sostenuto la candidatura di Matteo all’inizio e continuo a farlo ora. Mesi avevamo parlato della possibilità che l’avviso di garanzia arrivasse durante la campagna elettorale. Lo avevamo messo in conto. Lui era più ottimista di me: era convinto non sarebbe arrivato. Io ero di diverso avviso, ma gli dissi che, in ogni caso, saremmo andati avanti».

Ma guarda un po’... Quando toccò a Giovanni Toti, il candidato rosso per le Marche lo invitò dagli schermi tv de L’Aria che tira a uscire dai radar: «Se Toti sarà colpevole lo diranno i giudici... ma ora... la Liguria non può essere governata così. Sarebbe utile un suo passo indietro della Liguria». Mettendo così nello stesso calderone la tutela della presunzione di innocenza («Sono garantista») con una richiesta politica concreta: un gesto che offrisse serenità alla regione e consentisse una difesa più libera da parte del governatore. Un alibi, insomma, la parola garantista: di riffa o di raffe te ne devi andare. Un po’ come farà più avanti con la Santanchè, di cui invocava le dimissioni non per le manette pretese dal suo partito e dagli alleati M5S, ma «perché non ha fatto nulla da ministro». Oggettivo, il tizio.

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E Salvini no? Eccolo, Ricci: «Che senso ha avuto tenere per 20 giorni 147 persone in un porto dopo un viaggio drammatico? La vicenda Open Arms è stata un atto disumano, la dimostrazione più evidente della propaganda fallimentare di Salvini sulle politiche migratorie». Chissà se ha telefonato al vicepremier per scusarsi dopo l’assoluzione. Premuroso però, con i suoi. Con la pasionaria rossa dei tempi nostri: «Ilaria Salis è libera, non vedo l'ora di vedere la mia futura collega a Bruxelles. La volontà popolare ha prevalso, lì dove il governo italiano è stato timido con Orban». E solidarietà pure al professor Raimo, quello che vorrebbe gli studenti impegnati nella caccia al fascio... Tempo qualche ora e il Pd dovrà cercare un sostituto.

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