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Silvia Salis, l'oggetto misterioso che insidia Schlein: cosa sta succedendo a Genova

di Pietro Senaldi domenica 13 luglio 2025

12' di lettura

Silvia Salis candidata? «Carina ma inesperta. Le elezioni non sono un concorso di bellezza». A causa di questa frase sulla futura sindaca di Genova, il forzista Maurizio Gasparri è stato crocifisso per sessismo e patriarcato dalla sinistra intera, che ci ha fatto sopra uno scampolo di campagna elettorale. Non è peròil parlamentareazzurro ad avere i diritti d’autore sull’ingenerosa valutazione. Si dice infatti che quando il comico d’area Luca Bizzarri, in una chat sinistra a tema “chi riaccenderà la Lanterna rossa in città”, ha buttato lì il nome di Silvia, tal Ariel Dello Strologo abbia manifestato un giudizio identico a quello dell’ex ministro berlusconiano. Costui è un avvocato di grido a Genova, sconfitto di dieci punti da Marco Bucci nella corsa a Palazzo Tursi nel 2022. Esponente della comunità ebraica, è ancora molto ascoltato negli ambienti progressisti malgrado, in barba al cognome, non abbia competenze astrologiche né capacità divinatorie e benché ultimamente sia finito nel mirino della sinistra dura e pura, che l’ha bollato come agente sionista.

Naturalmente sull’infortunio mediatico i compagni sono intervenuti con litri di scolorina, ma l’episodio è significativo, specie considerando che l’avvocato è stato il primo in città a mettere insieme il campo largo, dai renziani ai grillini, che al giro seguente ha fatto vincere Salis. Dimostra che la futura sindaca all’inizio era guardata con diffidenza e che la sua scelta è figlia di un calcolo politico al quale il Pd e la sinistra hanno piegato l’istinto. Silvia infatti è tutt’altro che la vincitrice di un concorso di bellezza. È un esperimento locale che il campo largo sta facendo e potrebbe essere riproposto a livello nazionale, sempre con la sua faccia, oppure con un’altra. La sinistra ha dovuto farsela andare giù anche perché lei, malgrado abbia avuto un padre custode di un campo sportivo di atletica e iscritto al Partito Comunista, la cui memoria celebra ogni volta che le torna utile, si è molto stinta negli anni rispetto alle posizioni politiche del genitore. Dopo aver appeso il martello al chiodo - era lanciatrice del pesante oggetto ed è andata perfino alle Olimpiadi -, la futura sindaca è stata tentata dal mondo del giornalismo. Era opinionista di Samp-Tv. Poi ha sposato un regista milionario, Fausto Brizzi, ed è finita sotto la luce di ben altre telecamere.

MARITO TALENTUOSO
Citiamo il sodalizio matrimoniale non per portarle la polverosa accusa di essere anche lei una compagna radical-chic. Il fatto è che, grazie al talento del marito, la signora è entrata in rapporti con l’ex presidente della Liguria, Giovanni Toti, per il quale il regista ha girato tre spot promozionali del Festival di Sanremo e della Regione, con cachet devoluto all’ospedale pediatrico Gaslini. Operazione inappuntabile, anzi meritoria, celebrata con i canoni della grandeur dei tempi, che tanto è costata al fu governatore: cene e brindisi al Santa Teresa, cucina raffinata. Il trio era così affiatato che si vocifera in città che il leader di Cambiamo abbia insistentemente suggerito al centrodestra di puntare su Silvia come candidata alla successione di Bucci. Vistii risultati, è segno che, tutto si può dire, ma Toti di politica ci capisce. Quando gli fece i complimenti per la vittoria delle Regionali, lo scorso ottobre, Salis, presa dall’entusiasmo si sarebbe sbilanciata con il nuovo governatore al punto da fargli balenare che sarebbe diventata lei sindaco. Solo che probabilmente ai tempi si pensava in rappresentanza del centrodestra e non per la sinistra. La Lega però aveva altri programmi e Fratelli d’Ital non si è spesa. È stata Roberta Pinotti, importanti incarichi di governo con Letta, Renzi e Gentiloni, cattolica ed ex scuot, a tessere la tela perché tutta la sinistra prima adottasse e poi sponsorizzasse Silvia. Tant’è che la settimana scorsa, alla convention di Italia Viva che il luciferino Matteo Renzi ha voluto a Genova, per far credere a tutti, con le esagerazioni del personaggio, che la sindaca è invenzione sua, Salis si è sdebitata. Dal palco, dopo i ringraziamenti di rito all’ex rottamatore e alla leader ligure del partito, Raffaella Paita, l’ex lanciatrice di martelli ha nominato solo Pinotti, citata come «amica personale», e Simone D’Angelo, il segretario provinciale del Pd, il partito che l’ha fatta vincere raccogliendo il 30% dei consensi in città.

Pinotti e Paita sono tra i magnifici quattro che, senza essere eletti in Consiglio Comunale, costituiscono la squadra di riferimento della sindaca, quelli che ascolta e da cui si fa influenzare. Gli altri sono Alessandro Terrile, il vicesindaco che i dem le hanno suggerito, senza possibilità di mediazioni, e Armando Sanna. Il primo è un avvocato dello studio di Waldemaro Flick, fratello di Giovanni, ex giudice della Corte Costituzionale e Guardasigilli di Romano Prodi. Già presidente di Ente Bacini, del quale ha quadruplicato il fatturato, Terrile è amministratore solido e di fiducia di quella che a Genova è ancora la Ditta, intesa come sistema di potere alla Claudio Burlando più che come nucleo genetico dem alla Pierluigi Bersani. Il secondo è campione di preferenze alle Regionali per il Pd e fratello maggiore di Silvia al campo d’atletica Villa Gentile, dove tra i due, mentre lui correva e lei lanciava, è nato un sodalizio sportivo oggi divenuto politico.

TRAMPOLINO DI LANCIO
Il fatto che, a parte il vice, i numi tutelari della signora siano al di fuori della sua sfera operativa come sindaca la dice lunga di quanto ella sia proiettata sul suo incarico e quanto sulle eventuali possibilità future. Sentirsi Genova già come un abito stretto e l’ambizione di usare la città come un trampolino è l’unica cosa che, al momento, le rimprovera la sua maggioranza e gli elettori. Va ancora tutto molto bene, ma già lei viene soprannominata “la sindaca con il trolley”, mentre Terrile è ormai ufficialmente chiamato “il facente funzioni”. A Palazzo Tursi sono straniti. Bucci era al tavolo di lavoro alle 7 del mattino, spesso anche prima. Lei, salve eccezioni, entra in ufficio tra le 9.30 e le 10, l’ora tipica di chi prende il caffé con le mamme dell’asilo, ed entro le 18 le casca la penna. In realtà, tra Salis e Terrile la spartizione dei compiti è perfetta: lei appare, lui governa, lei lavora sull’immagine, lui si occupa di ripristinare lo status quo, ovverosia di restaurare sotto la Lanterna, un mattoncino alla volta, il sistema che i due mandati di Bucci avevano scardinato.

Lei va al gay pride, sposa coppie omo, istituisce l’ufficio per i diritti Lgbtqia+; ha attaccato il bonus casalinghe in nome della “dignità del lavoro femminile”, rimprovera i lavoratori del Balletto di Nervi che hanno lanciato l’ultimatum “più soldi o sciopero”, giudicando “inaccettabile” il ricatto, parola della figlia di un compagno operaio (che ha fatto strada). Poi però, quando il gioco si fa duro e c’è da sbrogliare qualche matassa, lei marca visita. Il vertice con i balletti di Nervi l’ha bucato adducendo due linee di febbre. Ha dato buca anche alla riunione sui conti dell’Amt, l’azienda dei trasporti locali di cui il Comune è azionista al 90%.

Venti milioni di rosso nei conti: lei dice che “è a rischio fallimento”, poi sparisce, diserta la riunione con i sindacati e scarica la patata bollente al vicesindaco. A Roma, per incontrare il sottosegretario Edoardo Rixi, per lo Sky-Metro, costo stimato poco meno di seicento milioni investiti dal governo e progetti già fatti per 19 milioni, ha mandato un funzionario con la scusa che lei si vede solo con Matteo Salvini. Scenderà nella Capitale la prossima settimana, con Terrile se vorrà combinare qualcosa, per vedere il ministro. Ha già noleggiato una super auto per tutto il giorno, seicento euro diventati oggetto di un’interrogazione in Consiglio da parte dell’opposizione. Con il trolley o fantasma, la sindaca brilla per l’assenza.

Ma cosa fa Silvia, se manca quando qualunque altro sindaco ci sarebbe? Fa la faccia immacolata dietro la quale si nasconde la sinistra trinariciuta. Lei è l’abito candido- Salis ama vestirsi di bianco, come è apparsa alla prima riunione del Consiglio Comunale, dove l’opposizione l’ha presa in giro, facendola infuriare, sostenendo che pareva la Madonna e si atteggiava a tale - che copre la solita conventicola progressista di affari e potere che, dopo Genova, scalpita per tornare a dirigere la nazione.

C’è una parte del Pd, che non si esaurisce nella corrente di opposizione Energia Popolare, che va in giro dicendo che Elly Schlein si sarebbe convinta di essere troppo a sinistra per poter sfidare Giorgia Meloni alle Politiche del 2027 con speranze di vittoria. La Nazarena starebbe valutando di barattare la candidatura a Palazzo Chigi con il mantenimento delle redini del Pd, in caso di buon esito nelle urne. È in fondo la strategia di Dario Franceschini, che di Schlein è stato uno sponsor e potrebbe garantirle la tenuta. La va spargendo ai quattro venti l’ex veltroniano Goffredo Bettini, profeta della teoria del campo largo che diventa campeggio dove ogni atomo del centrosinistra può picchettare la propria tenda e che ha nell’ex boy-scuot Renzi il naturale adepto più entusiasta.

Per i paradossi della politica, il capoluogo con l’anima Pd più rossa d’Italia, il solo dove Elly abbia vinto le primarie riservate ai tesserati dem, potrebbe rivelarsi l’incubatore del progetto per sbarrare alla segretaria la strada del governo. Il forte lavoro del Pd cittadino a trazione Schlein sta producendo una figura utilizzabile a sinistra in chiave anti-Schlein. Già, perché il sistema Salis-Genova potrebbe diventare un sistema Salis-Italia, o Ernesto Ruffini-Italia, o Antonio Decaro-Italia, anche se l’ex sindaco di Bari ha il difetto di avere la tessera del Pd, che in tal caso è un malus. A parte sindaco e vice, la giunta comunale conta dieci assessori. Quel che è macroscopico è che il Pd (29%), che ha preso quattro volte i voti di Alleanza Verdi e Sinistra (7%) e sei volte quelli di M5S (5%), ha tre amministratori, tanti quanti le due forze di estrema sinistra messe insieme. Ancora più indicativo è che tre siano anche gli assessori centristi. Italia Viva e Azione, sommate, superano di poco il 2%, eppure entrambe hanno il loro assessore.

Per i renziani c’è Arianna Viscogliosi, già assessore del primo Bucci e da questi allontanata presto, nel 2019, perché la competenza non era pari all’ambizione, e tuttavia ricandidata nella lista del sindaco nel 2022. Sedotta da Paita, a questo giro Arianna ha perso il filo diretto con gli elettori e non è riuscita a farsi eleggere in Consiglio. Pur tuttavia è stata ripescata, con un assessorato di peso, la sicurezza, che già le sta creando problemi perché la signora è considerata uno degli anelli deboli della giunta e sul tema la Lega sta picchiando duro. In quota Carlo Calenda c’è invece Cristina Lodi, assistente sociale dal carattere spigoloso, ex Pd da quando, entrata in collisione con il partito per beghe di bottega, si è accasata in Azione, forte del suo legame solidissimo con Pippo Rossetti, vent’anni in più di lei, il plenipotenziario in logo in grado di garantirle il posto in giunta per il Welfare, al punto che la signora non si è neppure sprecata a candidarsi in Consiglio.

Della lista Salis (8,3%), che ha preso due punti in meno di quella personale dello sfidante sconfitto, Pietro Piciocchi, c’è la capolista, Silvia Pericu, professoressa universitaria di design, ma soprattutto figlia di Giuseppe, compianto sindaco diessino nel nome del quale la signora conta ancora e fa l’assessore all’Ambiente.

IL PIÙ GIOVANE
Interessante anche la terna targata Pd: il più giovane è Davide Patrone (assessore alla Casa), 28 anni, un sessantottino cinquant’anni in ritardo. Tribuno dal brillante eloquio, ideologizzato, prodotto del quartiere borghese del Castelletto, è il pupillo del segretario provinciale D’Angelo e anche per questo è capogruppo. È figlio di papà e mamma, avvocati, ma con la legge ci azzecca poco: un solo esame sul libretto. In città sono sicuri che è quello che farà più carriera. Dietro di lui, anche nelle preferenze, Massimo Ferrante (Lavori Pubblici), dalla già presidente di Municipio della Val Bisagno e Rita Bruzzone, storica militante della zona popolare di Crevari, roccaforte dem. C’è poi un indipendente per finta, alla Cultura. È Giacomo Montanari. Lui è di sinistra, ma siccome è stato consulente di Bucci, per il quale era un punto di riferimento e che voleva farlo entrare in giunta, la sua nomina ha creato mal di pancia nel Pd. È frutto di un mezzo golpe generazionale di sinistra diffusa, gruppo di primedonne cittadine della Genova progressista e autoreferenziale.

Gli altri tre assessori sono l’ex europarlamentare di Cinque Stelle Tiziana Beghin (Commercio e Artigianato), sopravvissuta all’epurazione dei grillini doc, e gli oggetti misteriosi di Avs, Emilio Rebotti e Francesca Coppola, con deleghe a Mobilità, Trasporti, Urbanistica e Verde. Due carneadi, ma capaci di sfilare un posto in giunta al campione della lista Salis, Filippo Bruzzone, luogotenente del parlamentare dem Luca Pastorino, a lungo potenziale candidato a Palazzo Tursi.

Il tris giallo rosso profondo è stato scelto per marciare in direzione ostinata e contraria rispetto ai progetti di sviluppo della precedente giunta Bucci, con il chiaro obiettivo di ripiombare Genova negli anni bui precedenti la sua rinascita. Da quanto sarà loro concesso di incidere si capirà se l’operazione Salis è una manovra di potere che prevede solo un maquillage sinistro per dare soddisfazione all’elettorato più ideologico o se davvero si prevede un salto indietro ai tempi della decrescita infelice, il cui mantra è nato proprio da queste parti.
In sintesi, la giunta è retta da un centro di rappresentanza, tutto al femminile, che gioca di poltrone, e da una sinistra poco riformista e molto ideologica, con un sovradimensionamento degli incarichi all’estrema sinistra di M5S e Avs rispetto ai consensi.

Anche se la componente dem è molto legata alla segretaria, a menare il torrone è l’uomo più equilibrato e riformista. Questo balletto genovese potrebbe essere, a livello di rappresentanza e ruoli di potere, il punto di caduta tra Schlein, gli alleati del campo largo e le componenti interne al Pd. La città, medaglia d’oro alla Resistenza dove il presidente Sergio Mattarella ha festeggiato, proprio pochi giorni prima del voto, gli ottant’anni di ricorrenza dal 25 aprile 1945, è incuriosita dal proprio ritorno alle origini.

Salis, assertiva e affabile, elitaria e popolare, totalizzante e vuota, bella ma forse senz’anima, è ancora in luna di miele con elettori ed eletti. Certo, il mugugno nei caruggi e nei palazzi del centro non manca mai, come nel Ponente operaio e nei quartieri benestanti di Levante. L’ambizione della sindaca, le sue prospettive extracittadine, infastidiscono anziché inorgoglire, l’aurea renziana è più una macchia che una medaglia, benché i dem pilotati dalla chat dell’ex governatore e ministro Burlando, anche lui di casa sulla barca di Aldo Spinelli, la svolta riformista l’abbiano fatta da un pezzo.

L’impressione è che la signora possa essere una macchina senza calore politico, e per questo multiuso, anche in versione romana. Per ora, in Liguria, Silvia è attesa alla prova del governo, dalle cui responsabilità non potrà divincolarsi spedendo Terrile a destra e a manca. C’è l’azienda dei Trasporti da risanare. La sindaca confermerà le esenzioni della giunta Bucci alle fasce deboli della popolazione, la gratuità delle ascensori che permettono in pochi minuti di passare dalla Genova marina a quella montanara? Tassare o tagliare, non si scappa. Scontentare i cittadini o i sindacati e i lavoratori. Un po’ come per il balletto di Nervi, opera ancora in cerca di finale. Scomparire non può essere una strategia di lunga durata.

LA VICENDA RIFIUTI
E poi c’è la vicenda dei rifiuti. Genova li smaltisce tutti fuori Regione, infatti i genovesi pagano la Tari più cara d’Italia. La parola termovalorizzatore aleggia nel cielo cittadino come le nubi dense che scaricano gli acquazzoni autunnali e fanno esondare i rigagnoli che si scaricano a valle dall’Appennino. Come farlo digerire a una giunta più rosso-verde che arcobaleno? Ancora più spinoso è il tema della siderurgia, che già negli anni Novanta spaccò la città, con le donne del quartiere operaio di Cornigliano, quello di Guido Rossa, che fecero chiudere l’Alto Forno malgrado il parere contrario della Cgil. Causa smantellamento dell’Ilva di Taranto, il governo medita di aprire un Forno Elettrico proprio nella zona, dove si ripropone lo scontro tra sindacato e popolazione. Infine lo Sky-Metro, di cui si è detto. Genova è un P-greco rovesciato: Ponente e Levante uniti dalla litoranea e le due direttrici che partono verso le colline, la Val Polcevera e la Val Bisagno.

Quest’ultima ha collegamenti complicati con la città, per questo si è pensato a una ferrovia metropolitana, scoperta e costosa, utile e invasiva. Salis ha promesso di non farla, il governo ha pronti centinaia di milioni. Se l’opera si blocca, la città deve restituire i 19 milioni già spesi. Un amministratore di fatto e non solo di copertina sfiderebbe il governo a trovare la soluzione. Silvia lo sa ma dà l’idea di non pensarci ancora.

I nodi da sciogliere e quelli da stringere prima di salpare per lidi più prestigiosi sono ancora tanti. La traversata è incerta; di sicuro però, la sinistra non mollerà la città che si è ripresa anche per qualche errore di troppo del centrodestra, che deve completamente rifondarsi da queste parti. E questo è un avviso per tutti i naviganti dei tanti mari italici. La rotta va tracciata e l’equipaggio va cementato quando si ha buon vento, perché se da Nord Ovest inizia a soffiare il Maestrale, poi la barca inizia a ballare.

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