Un po’ Interstellar e un po’ romanzo di Arthur Clarke. Però non fantascienza, solo scienza. Quella che a noi sembra un racconto distopico e invece è un “progetto”, su cui coinvolgere gli ingegneri, che piace ai biologi, supportato dagli astrofisici, per fare in modo che le specie animali a rischio d’estinzione quaggiù sulla Terra possano avere una speranza di conservazione lassù sulla Luna. Un’arca di Noè, ma spaziale. Nel senso che dovrebbe proprio varcare i confini dello spazio, oltre l’atmosfera, oltre l’orbita terrestre, approdare sul nostro satellite e un giorno chissà, vuoi vedere che non è manco una cattiva idea?
L’IDEATRICE
È venuta, non a caso, a Mary Hagerdon, che mica è una biologa marina qualunque, ha un curriculum sul quale si leggono cose come “ha sviluppato un programma di conservazione delle specie di corallo utilizzando i principi della criobiologia, lo studio dei sistemi cellulari in condizioni di freddo, e della crioconservazione” e, negli ultimi vent’anni, ha fatto la ricercatrice allo Smithsonian’s national zoo and conservation biology institute di Washington, negli Usa.
Ha un pallino, Hagerdon, che è quello di dare una prospettiva d’esistenza a quelle specie che, per una miriade di motivi, una speranza non ce l’hanno più. Come il Lipote del Fiume Azzurro cinese o il Cavallo di Prezwalski. E visto che su questo pianeta le variabili sono troppe e troppo articolate (non lo stiamo trattando benissimo, ma non ci stiamo trattando benissimo nemmeno noi visto che sono almeno 56 i conflitti ufficiali aperti), se si vuol far qualcosa, tocca farlo lontano. Parecchio lontano. Diciamo a 384.400 chilometri di distanza. L’intuizione è replicare il “caveau globale” delle Svalbard (dopo ci arriviamo), però sulla Luna: creando un deposito “interplanetario” con cellule conservate e campioni di dna degli animali che (qui) stanno scomparendo e con il duplice intento di a) preservare la biodevistà genetica nelle popolazioni animali che sono già in pericolo e b) porre le basi per una futura, possibile, ipotetica, clonazione nel caso dovesse svilupparsi lo scenario peggiore.
CAVEAU INTERSTELLARE
Intendiamoci: non si tratta di ibernare un panda e mandarlo in orbita su un razzo come ha fatto Laika nel 1957. Niente di tutto questo. Si tratta, semmai, di creare un archivio di provette “particolare”. Perché sulla Luna e non in uno dei tantissimi bunker iper-tecnologici del mondo? Perché, come si legge sulla rivista BioScience dove la proposta è apparsa per la prima volta giusto la settimana scorsa, sfruttando i profondi crateri che ci sono vicino alle regioni polari del satellite, crateri che mai finiscono esposti ai raggi solari, è possibile avere una temperatura ultra-bassa (meno 196 gradi centigradi) e pressoché stabile. Senza doversi preoccupare di costruire un “freezer” galattico.
Un precedente, tra l’altro, c’è (ci siamo arrivati): il deposito globale di semi della Norvegia, alle Svalbard, al circolo polare artico. Lì si conservano, da anni, le colture alimentari che potrebbero scomparire qualora le inondazioni o il caldo esagerato diventino fuori controllo. C’è una differenza, tuttavia: alle Svalbard l’uomo ci arriva con una relativa facilità, al Lago dei sogni lunare no. Attenzione: al momento tutto questo non è fattibile, è solo un’ipotesi immaginaria. «Ma speriamo che il nostro articolo possa generare entusiasmo, nuove idee e partner internazionali per proteggere la biodiversità sulla Terra», spiega Hagedorn. Di certo ce n’è solo da guadagnarci.