Quant’era bello il tempo delle nostre madri, quant’era sano, loro sì che si godevano la vita con libertà e passione. Le donne giovani negli anni ’60 attraversarono il periodo migliore del ‘900, accorciarono le gonne, si innamorarono dei divi del cinema, presentandosi come un modello nuovo e soprattutto felice di una generazione finalmente priva di pregiudizi. Non a caso rimane quella l’età dell’oro del nostro occidente, anche gli ultimi ci stanno lasciando, impensabile l’idea di sostituirli. Furono proprio quelle donne ad adorare Alain Delon, lo trasformarono da attore a oggetto del desiderio.
Non era il solo, accanto a lui - perché il cinema francese era stupendo - c’era l’amico Jean Paul Belmondo che Jean-Luc Godard assurse a sex symbol/ figlio di mignotta in Fino all’ultimo respiro, non era il solo ma era proprio l’unico e le ventenni di allora, come mia madre, lo idolatravano per la bellezza assoluta e, soprattutto, perché incarnava nell’arte come nella vita un ruolo preciso, quello del maschio.
Alain Delon ha attraversato una vita lunga degna appunto di un film, ecco, mi viene in mente il bellissimo Una vita non basta di Claude Lelouch interpretato da Bebel; fosse scomparso vent’anni fa avremmo letto tutt’altro sui giornali, ma nell’estate del 2024 la missione del cronista malmostoso consiste nel cercare ciò che non funziona secondo le regole imposte dall’assurdo presente. Ieri su La Stampa (cui evidentemente non bastava il classico coccodrillo) Nicoletta Verna descrive Delon come «misogino, omofobo, conservatore». Bisogna prestare attenzione al climax implicito nella triplice aggettivazione omerica.
Misogino perché trattava male le donne: difficile sostenerlo per un uomo che ne ha amate tantissime e altrettante le ha lasciate o si è fatto lasciare, allora funzionava così, l’amore era molto più libero di oggi, spontaneo, di breve durata. E poi sai che c’è? Se ti metti con Alain Delon il rischio lo devi correre, altrimenti ripiega su altre categorie di maschi più regolari. La giornalista avrebbe fatto meglio a leggere le parole di Claudia Cardinale, «era una combinazione perfetta di delicata bellezza e di virilità, in lui abitavano al tempo stesso la dolcezza e il pericolo. Ma la bellezza era al servizio dell’intelligenza e mai il contrario». Quando due bellissimi si incontrano parlano questa lingua pura, sconosciuta ai e alle più.
Omofobo, inoltre. «Un fiero maschilista tossico che non ci mancherà» scrive il portale gay.it, che va a sfrucugliare nei difficili rapporti familiari, che amava di più i cani delle persone e recuperando una frase (forse) pronunciata in chissà quale contesto, «siamo fatti per amare le donne» dopo essersi detto contrario, come tanti, alle adozioni per le coppie omosex. E allora? Non vedo francamente il dolo nel rivendicare una convinta eterosessualità, o forse non si può più dire? Chi ne viene danneggiato?
La terza parola appare come lo specchio rivelatore, conservatore equiparato a misogino e omofobo. Francamente inaccettabile fino a non molto tempo fa, nel nostro tempo non scegliere la (facile) strada progressista se sei nel mondo dello spettacolo suona come un marchio di infamia. Di Delon hanno scritto che aveva simpatia per la destra estrema, già perché secondo loro la destra è sempre estrema non destra e basta, che era reazionario e nazionalista, «fieramente aderente al modello patriarcale e platealmente fascistoide», scrive ancora gay.it.
Peccato, sono peggiorati anche loro, Alain un tempo era amatissimo dagli omosessuali (chiedere a Luchino Visconti), persino elevato a icona di stile, poi hanno scoperto che era destrorso e allora gli preferiscono Ralf Schumacher. La sempreverde Natalia Aspesi su Repubblica non può fare a meno di ricordare che la bellezza di Delon era ormai sfiorita (eh, cara, si invecchia tutti se non si muore giovani), addirittura sfasciata dalle borse sotto gli occhi, niente rispetto alla colpa assoluta, essere stato un sostenitore dei Le Pen, prima di Jean-Marie poi di Marine, in un mondo dove gli artisti (e i giornalisti) sono tutti di sinistra. Una non-notizia, lo showbiz aveva già deliberato in tal senso, guastandogli la Palma d’Oro a Cannes nel 2019 con la contestazione delle avvelenate del #metoo, difficile le abbia danneggiate lui direttamente.
Che belli i tempi di mia madre, lei e le sue amiche innamorate di Alain Delon, inarrivabile sogno ad occhi aperti, sposavano maschi gaglioffi ma senza dubbio maschi, proiettavano l’immagine dei divi nei loro uomini e ben più di frequente di quanto si possa pensare li facevano impazzire. Ogni donna adora un fascista, / La scarpa in faccia, il brutale/ Cuore di un bruto a te uguale, lo scriveva la poetessa Sylvia Plath, non una qualunque.