Quel che farà nel giorno 1 della sua presidenza Donald Trump lo ha detto in più occasioni. A quel giorno ne mancano ancora una settantina. Tuttavia due cose, il 47esimo presidente Usa ha voluto fare subito: smentire le voci girate nelle ore successive alla sua vittoria circa l’intenzione di vendere la sua piattaforma social Truth Social, chiedendo che «coloro che hanno messo in giro le voci di una vendita siano messi sotto indagine». E, cosa politicamente più rilevante, nominare la sua stratega elettorale Susie Wiles prossima Chief of staff (Capo di gabinetto) della Casa Bianca. La 67enne Wiles è la prima donna nella storia degli Stati Uniti a ricoprire quell’incarico. Figlia di un ex campione di football americano, è in politica della fine degli anni Settanta e sempre con i repubblicani. Nel 2015 ha iniziato a collaborare alla prima campagna di Trump e da allora è stata la sua più ascoltata consigliera. Ieri lei e Trump hanno incassato anche i collegi elettorali del Nevada e ormai gli manca solo l’Arizona per fare il pieno dei sette Swing States. Ed è ormai questione di ore perché anche la Camera dei Rappresentanti, dopo il Senato, sia assegnata ai Repubblicani, trasformando la vittoria di Trump in un trionfo totale.
LA BATTAGLIA LEGALE
Con una situazione del genere a Washington le cose cambieranno velocemente, rispetto a quanto visto negli ultimi quattro anni. Ma sull’immigrazione, l’aria tossica che Biden e i dem hanno soffiato sull’America sta iniziando a dissolversi già 72 ore dopo la proclamazione di Trump presidente. A dirlo sono due notizie provenienti da due angoli dell’America che più diversi tra loro non potrebbero essere: il repubblicanissimo Texas e la democraticissima città di New York. È notizia di giovedì che un giudice federale del Texas, J. Campbell Parker, ha fatto a brandelli il tentativo dell'amministrazione Biden di regolarizzare centinaia di migliaia di irregolari presenti nel Paese in quanto sposati con cittadini americani. La sentenza arriva mesi dopo che 16 Stati governati dai Repubblicani avevano fatto causa all’amministrazione federale, sostenendo che questa non avesse l’autorità legale per mettere in atto il programma, che in ogni caso avrebbe avuto zero possibilità di sopravvivere alla sconfitta subita martedì da Kamala Harris. Proprio nel mese di agosto, suscitando immediate polemiche non solo da parte dei repubblicani, Biden e i suoi avevano varato il piano noto come “Keeping the families together” (“tenere le famiglie unite”), dando la possibilità di ottenere una Green Card senza dover nemmeno lasciare il Paese e poi rientrarvi, a tutti gli immigrati irregolari senza documenti (donne e uomini, ovviamente) che, sposati con cittadini americani e cittadine americane, avessero in quel momento trascorso almeno 10 anni negli Stati Uniti.
Un vero e proprio premio alla clandestinità assurta a condizione di vita. La stima del numero di regolarizzazioni che il piano avrebbe portato con sé non esiste, ma sui media americani si parlò, ai tempi, di centinaia e centinaia di migliaia di casi. L’altra notizia sintomo di un game-changing nella politica americana sull'immigrazione arriva dalla città di New York, feudo democratico guidato dal sindaco afroamericano (democratico) Eric Adams. Uno che ultimamente non se la sta passando bene, dopo le molteplici accuse di corruzione mosse alla sua amministrazione e che, tra le altre cose, hanno portato alle dimissioni della sua vice, Sheena Wright. E dopo che una donna della Florida gli ha fatto causa, accusandolo di violenza sessuale.
SANTUARI CHIUSI
Entrato in carica il 1 gennaio 2022, Adams è stato il classico sindaco dem “delle porte aperte” durante il primo anno e mezzo del suo mandato, permettendo l’arrivo in città di ben 200mila illegali per i quali ha speso milioni di dollari dei contribuenti e ha allestito campi tendati, potenziato rifugi e trasformato persino lo storico Roosevelt Hotel di Manhattan in un “condominio” di illegali. Lo scorso febbraio ha concesso 2.600 debit card in uso ad altrettante famiglie di clandestini con figli “residenti” in città. Ogni carta restava a disposizione di una famiglia per un anno e veniva caricata ogni settimana con 350 dollari da spendere in alimenti e beni di prima necessità. In quell’iniziativa, sono finiti quasi 4 milioni di dollari di soldi pubblici.
In ottobre, il Dipartimento investigativo cittadino ha iniziato a indagare sul contratto da 400mila dollari l’anno concesso, senza gara d’appalto, alla Mobility Capital Finance, l’azienda incaricata dell’emissione e della gestione delle debit card. Giovedì, 48 ore dopo che a Washington è stata ufficializzata la vittoria di Trump, Adams ha fatto dietrofront, non rinnovando il contratto alla società finanziaria e cancellando tout court la debit card per i clandestini. Al giorno 1 (che sarà il 20 gennaio) ne mancano ancora una settantina. Ma in America l’aria sta già ora iniziando a cambiare.