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Il "guardonismo" dei giornalisti? Si chiama merda

Anche le grandi firme frugano tra le intercettazioni e ci vedono "la faccia della Nazione". Pesta la notizia...
di Eliana Giusto domenica 14 ottobre 2012

1' di lettura

di Filippo Facci Ci risiamo, anche le grandi firme frugano nelle intercettazioni e cioè nella merda - perché questo passa il convento - e però siccome se ne vergognano si travestono da sensori di un’epoca, da indici dello spaccato di un Paese, tutta una tara pretenziosa che serve a giustificare un sostanziale guardonismo che cela il vero nome delle cose: che è merda, come i cronisti giudiziari l’hanno sempre venduta e spacciata, sono estrapolazioni, cartacce giudiziarie, scampoli parziali di realtà parziali, frammenti di realtà spesso private e spesso banali che noi trasformiamo in archetipiche e sociologiche perché ci si vergognamo di com’è ridotto un mestiere. Così per esempio un Francesco Merlo di Repubblica (dal nostro inviato speciale nei brogliacci di cancelleria) nelle telefonate di Giampaolo Tarantini non ci vede essenzialmente Tarantini, non ci vede qualche nicchia miseranda del potere e di un pezzetto di Paese: ci vede il Paese, «la faccia di una nazione», «un codice di vita che è la dannazione dell’Italia», e giù metafore, citazioni letterarie, agganci alla commedia all’italiana, Tarantini che è «vicino al prototipo italiano di Dino Risi» ed è campione ovviamente di berlusconismo: e non si dica che ciò è ricavato dalla merda, perché «il testo di quella lunga telefonata meriterebbe lo Strega e il Campiello unificati». In effetti l’odore è lo stesso.

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