I referendum dell'8 e 9 giugno spaccano il Partito democratico. Europarlamentari e deputati dell'area riformista si ribellano a Elly Schlein e, attraverso una lettera, consegnata a Repubblica esprimono tutta la loro contrarietà. "L’8 e il 9 giugno andremo a votare. Non solo perché è un diritto/dovere costituzionale, ma perché la partecipazione è il cuore di una democrazia. Voteremo sì al referendum sulla cittadinanza, che risponde alle attese di milioni di persone, discriminate nei loro diritti. E sì al quesito sulle imprese appaltanti, in un paese con una intollerabile strage quotidiana di morti sul lavoro. Ma - e qui viene il bello - non voteremo gli altri 3 quesiti".
Una missiva, quella pubblicata sul quotidiano "di casa" del Pd, che riporta le firme del presidente del Copasir Lorenzo Guerini, della vicepresidente dell’Europarlamento Pina Picierno, dell'europarlamentare Giorgio Gori, delle deputate Marianna Madia e Lia Quartapelle e del senatore Filippo Sensi. Per i dem "la condizione del lavoro in Italia passa dal futuro. Non da una sterile resa dei conti con il passato". Il riferimento è chiaramente al Jobs Act, misura che - ricordano - "è stata introdotta 10 anni fa proprio dal Partito democratico. Oggi è lo stesso Pd che, rispondendo alla sollecitazione della Cgil, sconfessa invitando a votare ‘sì’ ai quesiti".
Ma i malumori interni al Pd sono comuni anche negli altri partiti di opposizione. Sui referendum Carlo Calenda voterà no, Angelo Bonelli e Nicola Fratoianni voteranno cinque sì, Giuseppe Conte è per quattro sì e un no. Chi glielo dice ora a Schlein, che solo due giorni fa andava dicendo: "La linea del partito è chiara ed è stata approvata in direzione nazionale: noi sosteniamo il sì a tutti e cinque i quesiti referendari".