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Mario Monti, il derby con Giuliano Amato: la vignetta del 2011

di Andrea Tempestini domenica 27 luglio 2014

2' di lettura

Il voto dell’8 novembre 2011 sul rendiconto generale dello Stato segna la fine del governo Berlusconi e, con la Borsa in picchiata e lo spread alle stelle, il presidente della Repubblica nomina già il giorno successivo il nuovo premier. In realtà bisogna attendere ancora qualche giorno per le dimissioni di Berlusconi, il tempo di approvare la legge di Stabilità, ma con la nomina del 9 novembre a senatore a vita, Mario Monti è il nuovo premier in pectore. La scelta dell’ex rettore della Bocconi non è una sorpresa, neppure per il professore varesino, al quale Napolitano da almeno cinque mesi aveva chiesto la disponibilità a prendere la guida del governo. Ovviamente si tratta di fatti allora sconosciuti ai cittadini e rivelati solo anni dopo da un libro di Alan Friedman. In quell’autunno, gli italiani hanno una immensa fiducia nel “governo dei professori”. Sia i mezzi di informazione che i cittadini accolgono i professori come salvatori della patria. Gli italiani si sentono al sicuro nelle mani dei tecnici e sono disposti a fare i sacrifici necessari a rimettere in piedi la baracca. I politici, travolti dalla incapacità di affrontare la crisi, dal malcontento popolare per i vari scandali locali e nazionali e per i numerosi privilegi ingiustificati, appoggiano il governo ma non ne fanno parte, sono costretti tutti a farsi da parte. Tutti tranne uno, Giuliano Amato, che nei giorni precedenti la formazione della squadra è uno dei nomi più gettonati nel totoministri. Un uomo politico per tutte le stagioni e per tutte le poltrone: Prima, Seconda e Terza Repubblica, presidente del Consiglio, ministro dell’Interno, del Tesoro, presidente di authority, sempre candidato al Quirinale e giudice della Corte Costituzionale, per lui vale il nomignolo che Indro Montanelli aveva affibbiato ad Amintore Fanfani, il “rieccolo”. «Catastrofi, precipizi, inabissamenti, che sembravano travolgere non dei governi, ma dei regimi, immancabilmente seguiti dal solenne voto di rinuncia alla lotta e di ritiro dall’agone. E subito dopo ricompariva sulla scena, ma mai dalla porta da cui era uscito»: una descrizione che si appiccica perfettamente ad Amato, che di Fanfani non ha lo spirito battagliero ma la capacità di resistere al logorio del tempo e della politica. A distanza di anni molti degli italiani che avevano creduto in Monti ora hanno un giudizio negativo di un governo che ricordano per essersi impegnato a mettere le mani nelle tasche dei contribuenti, eppure se tra i ministri papabili c’era il “rieccolo” Amato si poteva intuire che le cose sarebbero andate a finire così. di Luciano Capone

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