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Fitto, Gelmini, Carfagna, Rotondi, tutti i "no" ad Alfano per la poltrona di Brunetta

Angelino prova a spegnere la minaccia dei "lealisti" offrendo "posti chiave" nel Pdl. Ma si alza un coro di "no, grazie". Tra gli azzurri cresce la "voglia di congresso"
di Ignazio Stagno domenica 13 ottobre 2013

3' di lettura

L'operazione era partita col vento in poppa. Angelino Alfano dopo il voto di fiducia a Letta sembra aver avuto una battuta d'arresto. Il "parricidio" è impensabile e Angelino, sondaggi alla mano, sa bene che deve restare sulla barca del Pdl e del Cav. Il rischio di naufragare come il centrino di Monti è altissimo. Così il segretario del Pdl riparte quasi da zero e prepara una manovra più ragionata che prevede un'apertura di un tavolo di discussione dentro il partito. Da un lato ci sono i soliti falchi. In mezzo ci sono i lealisti guidati da Raffaele Fitto e poi gli "alfaniani". Fitto al posto di Brunetta -  L'obiettivo del segretario è quello di spegnere i malumori e portare almeno i lealisti dalla sua parte. Come fare? Bisogna offrire qualche posto di potere a chi non ti segue "senza se e senza ma". Alfano dunque avrebbe offerto a Fitto la poltrona di capogruppo alla Camera per sostituire Renato Brunetta. L'ex ministro ha però risposto picche. "Raffaele il posto di capogruppo è tuo", avrebbe detto Angelino. Ma Fitto ha risposto "no, grazie". Il problema dunque non è di poltrone, ma politico. Il "no" della Gelmini - Questo Alfano non l'aveva considerato. Incassato il "no" di Fitto, Alfano ha bussato alla porta della Gelmini con la stessa proposta: il posto di capogruppo alla Camera. L'ex ministro dell'istruzione ha risposto allo stesso modo: "Agelino, ti dico di no sia per motivi di lealtà nei rapporti col mio capogruppo sia per una questione politica generale. Non sono le poltrone quello che cerchiamo”. Così Alfano scopre dopo sette giorni che i malumori azzurri sono ben più strutturati. E non tutti, dato da non sottovalutare, sono pronti a seguire il segretario ad occhi chiusi. La richiesta politica è una sola: facciamo il congresso. Teso, preoccupato, “Angelino” ha toccato con mano che non controlla più buona parte del Pdl. "Vogliamo il congresso" - Con Fitto sono scesi in campo tutti i ministri del governo Berlusconi. Una raffica impressionante. Al grido di “congresso subito”.  Matteoli, Gelmini, Carfagna, Prestigiacomo, Rotondi, Bernini, Romano, Nitto Palma: i ministri del governo Berlusconi vogliono la conta, in un congresso straordinario. Con Alfano ci sono i ministri pidiellini del governo Letta. In tutte queste beghe c'è di mezzo il Cav. Silvio si muove con prudenza per tenere unito il partito. Ma la sua non è un'impresa semplice. “Berlusconi – dice un alfaniano all'Huffingtonpost– nei faccia a faccia non impone nulla, fa una mozione degli affetti e dà ragione a tutti, ma non si impone perché si tiene aperta la possibilità di usare sia gli uni che gli altri, sia i falchi sia le colombe”. Ora dunque il Pdl è a un bivio. Da un lato il congresso, dall'altro lo strappo degli alfaniani che chiedono a gran voce ad Angelino la scissione. Lui tentenna. In gioco c'è il suo futuro. E quello del Pdl. E lui l'ha già detto mille volte "non vuole fare la fine di Fini". E col mercato delle poltrone non si va da nessuna parte. Angelino deve fare politica. Dentro il partito. 

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