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Non esiste una sentenzacon cui eliminare il CavSarà ancora più forte

Se anche lo cacciassero dal Parlamento, come dimostra Grillo, per fare politica non serve un seggio: basta avere il consenso
di Andrea Tempestini domenica 23 giugno 2013

3' di lettura

Dice Silvio Berlusconi che sentenza dopo sentenza in un crescendo rossiniano i magistrati vogliono farlo fuori dalla politica. Pensa male, ma non sbaglia. Anzi, c’azzecca proprio come avrebbe detto Giulio Andreotti. Poi ogni tanto il Cav ci ripensa, ascolta le sue colombe, si convince che a fare lo scolaretto modello andando a braccetto con i nemici e stringendo patti non scritti con il Quirinale, le cose possono andare in altro modo. E puntualmente sbatte poi il muso contro una realtà diametralmente opposta.  Accadde con il lodo Schifani, poi con il lodo Alfano e Berlusconi si infuriò. È accaduto ancora una volta ieri con la decisione negativa della Corte Costituzionale sul suo legittimo impedimento, e la rabbia si è ormai trasformata in tranquillo sarcasmo. Poteva andare diversamente ieri, al di là delle promesse sussurrate e mai dette, al di là dei fallaci ragionamenti sulla composizione di una Corte che sempre più si è trasformata nella sua assoluta maggioranza ad immagine e somiglianza di Giorgio Napolitano? Sì, in punta di diritto poteva andare diversamente. Prova ne fu che quando la corte di Milano rifiutò il primo marzo 2010 il legittimo impedimento di un consiglio dei ministri guidato da Berlusconi, a sbottare fu perfino un misuratissimo presidente emerito della Corte costituzionale come Piero Alberto Capotosti: «sostenere», disse, «che il consiglio dei ministri sia stato spostato ad arte per evitare l’udienza milanese mi sembra eccessivo. Così salta la leale collaborazione fra poteri dello Stato». Insomma, ci fosse stato ieri Capotosti e qualcun altro come lui, la sentenza sarebbe stata diversa. Invece relatore era quel Sabino Cassese che Repubblica avrebbe voluto al Quirinale, e la Corte era in gran parte composta da giudici nominati da Napolitano. Una maggioranza granitica l’aveva trovata quando si è trattato di polverizzare la procura di Palermo nel conflitto con il Quirinale, ma quel granito è divenuto burro quando una delle parti in conflitto era il Cavaliere. Sì, Berlusconi ha formalmente ragione: lo vogliono fare fuori per via giudiziaria. Non speri in labilissimi patti con il Colle, perché lassù spira lo stesso vento. E stia certo che nel processo Ruby è destinato a essere preso a schiaffoni dalla sentenza di primo grado. E che la Cassazione confermerà primo e secondo grado del processo sui diritti tv, certificando così la sua espulsione dal Parlamento (e forse anche l’immediata decadenza da senatore). Ma non dica che così lo vogliono fare fuori dalla vita politica del Paese. Questo non è potere nelle mani di alcun giudice, e nemmeno del Quirinale. È un potere esclusivamente nelle mani del popolo italiano, che fin qui ha deciso in modo assai diverso.  Le sentenze con le pene accessorie possono anche (e accadrà) fare fuori Berlusconi dal Parlamento. Non dalla vita politica italiana. Si potrebbe fare politica perfino dal carcere, e Berlusconi questo non rischia (indulto e condono attenuano di molto le condanne di cui parliamo). Figurarsi se non si può farla da palazzo Grazioli o da qualsiasi piazza italiana. Se questo è lo scopo di tanti magistrati, è solo illusione: Berlusconi continuerà a fare politica. E magari in quel modo si invertono le parti: non sarà più qualcuno a cercare di fare fuori lui, ma l’esatto contrario. Che si possa fare politica da fuori è ben dimostrato dalla avventura di Beppe Grillo. Lui stando fuori passa il tempo a fare fuori gli altri: prima gli avversari politici, poi perfino i suoi che ritiene traditori. Chissà che non sia questo lo sfizio futuro del Cavaliere. Lo si può condannare fino alla nausea, ma non si potrà evitare a uno schieramento politico di correre alle prossime elezioni sotto la bandiera di Berlusconi... di Franco Bechis @FrancoBechis

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