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Monti, la tattica degli insultiaffonda soltanto Fini e Casini

Il Professore con le sue intemerate sta distruggendo la sua fama di presunto "moderato". Ma a pagare dazio sono soltanto i leader dei "centrini"
di Andrea Tempestini domenica 17 febbraio 2013

Mario Monti

3' di lettura

di Gennaro Malgeri Come tutti coloro che sono animati dal furore dei neofiti, Mario Monti esagera e si ridicolizza. Le sue intemerate stanno eclissando la fama di «moderato» che lo ha accompagnato fino alla «salita in politica». Mena fendenti, perlopiù a sproposito, a destra e a manca. Nella vana speranza di farsi percepire dall’opinione pubblica come leader alternativo ai due schieramenti principali. Nessuno gli crede, naturalmente. E tutti sono pronti a giurare che, se ce ne sarà bisogno, correrà in aiuto di Bersani dandogli sostegno al Senato. Consapevole di tale «sospetto» che grava su di lui, il Professore si sta regolando di conseguenza.    Dopo aver lisciato il Pd, definendo addirittura «gloriosa»  la storia del del Pci, sta tentando di smarcarsi dall’accusa di candidato ad esserne la stampella parlamentare. E lo fa con i toni risentiti e le argomentazioni velenose che abbiamo ascoltato. Non diversamente si atteggia nei confronti del centrodestra: il sua antipatia verso il Cavaliere è talmente evidente da risultare perfino volgare, certo non degna di un senatore a vita per di più non direttamente coinvolto nella raccolta dei consensi. I risultati di tanto smanioso mostrarsi equidistante (ma, in realtà è oggettivamente equivicino alla sinistra, come dimostrano i movimenti filo-Ambrosoli della sua  Scelta civica  in Lombardia) hanno sortito l’encomiabile  effetto di aver oscurato Casini e Fini, i soggetti più irrilevanti di questa campagna elettorale. Bisogna riconoscerlo: è stato il capolavoro del Professore. I dioscuri del centrismo, politici di lungo corso, fagocitati da colui che hanno sostenuto con maggiore vigore ed entusiasmo, hanno dimostrato una cecità che francamente stupisce perfino noi che da tempo ne criticavamo la scarsa visione di prospettiva politica.  Domenica scorsa, il leader dell’Udc, partito allo stato larvale dopo che si è fatto imporre da Monti esclusioni eccellenti dalle liste, ha dovuto quasi gridarlo che mai e poi mai si aggregherà  al carro di Bersani. La sua alterità al centrosinistra dovrebbe essere naturale, perché, dunque, sottolinearlo con tanta foga? Il motivo c’è. Vedendo la sua forza elettorale scemare, Casini tenta  di recuperare il terreno che Monti gli ha sottratto con la disperazione di chi sa di perdere tutto dopo essersi rovinosamente gettato tra braccia di chi immaginava potesse riportarlo in auge. Fini, per quel che vale - il timore nelle file di Fli è che se Casini non dovesse superare la soglia del 2% risulterebbe il «miglior perdente» e dunque precluderebbe l’ingresso in Parlamento al partitino dei fuoriusciti - se la cava dicendo che lui è disponibile al confronto con Bersani «soltanto» sulle riforme. Una battuta. Figuriamoci se il leader del centrosinistra si misurerebbe con Fini su un terreno che ambisce ad arare con ben altri interlocutori. Monti è il principale presidiando lo schieramento centrista saldamente, ma, temiamo per lui, con pochi elettori. Da qui l’irritazione del Professore. Gli ultimi sondaggi disponibili (adesso si fanno, ma non si possono pubblicare: quanta democratica ipocrisia) dicono  che il premier uscente vale intorno all’8% ed insieme alle frattaglie della sua coalizione arriva al 12%. Che ci fa? Forse non sarà buono neppure per Bersani che, infatti, messo da parte qualsiasi utilitaristico riguardo, non perde occasione per sbertucciarlo. È per questo che il premier uscente (e definitivamente uscito, come non credeva potesse accadere, forte del vasto consenso di cui godeva fino allo scorso dicembre) adesso fa la faccia brutta. Ma siamo a Carnevale e la sua è una maschera. Aspettiamo la Quaresima e vediamo che panni indosserà. Gli starebbero bene quelli del penitente che, con il capo cosparso di cenere, riconosce il suo peccato politico più grave: essersi mostrato per quello che non è pur di perpetuare il suo potere, funzione che né a destra né a sinistra gli chiedevano di assumere. Da riserva della Repubblica avrebbe fatto migliore figura, i centristi doc non sarebbero entrati in paranoia e, probabilmente, anche la campagna elettorale sarebbe stata meno concitata priva della sua equivoca posizione politica. Gli resta il furore, tuttavia. Che per un compassato docente della Bocconi può essere eccitante come i primi turbamenti sessuali di un adolescente.

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