Forse qualcuno dovrebbe spiegare alla lungimirante (sic) delegazione Pd-M5s-Avs che, ieri, da El-Arish, a una ventina di chilometri dal confine di Rafah, in Egitto, guardando la Striscia di Gaza sull’orizzonte, quindi tecnicamente senza manco metterci piede, ha cominciato a sciorinare la solita (trita, ritrita e arcitrita) propaganda propal sul «genocidio» e i «crimini di Israele», che non c’era bisogno di andare fino in Medioriente. Bastava accendere uno a caso dei talk-show progressisti in onda sulle tivù occidentali o sfogliare la maggior parte dei giornali che tanto tenera con lo Stato ebraico non è stata mai, figuriamoci dal 7 ottobre in avanti, per ottenere lo stesso identico risultato. Cioè per fare l’ennesimo favore a Hamas raccontando una storia solo a metà. Invece no. Invece la triade (intesa come dem, penstastellati, verdi e sinistra) ci ha tenuto proprio, armi e bagagli, sopratutto bagagli (si sono fatti immortalare pure davanti all’aeroporto del Cairo coi trolley ancora in mano), a presentarsi sul posto e a raccogliere quante più testimonianze con cui rifocillare i propri discorsi lì e soprattutto qui.
TOUR DELL’ORRORE
D’altronde la leader della carovana, la democratica Laura Boldrini, sui social network, giusto venerdì, era stata chiarissima: l’obbiettivo, per lei, è e rimane «entrare a Gaza» con lo scopo di «denunciare l’orrore» attribuito alle Idf con la stella di David sul braccio e tutto quel che ne deriva (poi entriamo anche nel merito delle dichiarazioni). Il gran giorno del “blitz umanitario” dovrebbe essere oggi, ma nel frattempo il tour si è trasformato in una sfacchinata di «nove ore attraverso il Sinai» (parola della deputata Valentina Ghio, Pd) e s’è fermato a pochi passi dalla meta. Punto stampa (sacrosantissimo, ché senza quello, cioè senza il ritorno mediatico, chi te l’ha fatto fare?) e riposino fronte mare, tra una comunicazione strappalacrime (a senso unico) e un appello alla premier Giorgia Meloni affinché si adoperi per il miracolo, al secolo per lo «sblocco immediato degli aiuti».
«È una responsabilità che pesa su tutti noi», spiega Boldrini, «col peso delle voci raccolte ci muoviamo su una strada lunga e piena di checKpoint. Lo facciamo perché nessuno possa dire: “Io non sapevo”». Prima considerazione (ci siamo arrivati): El-Arish e la stessa Rafah si trovano in Egitto perché l’Egitto è l’altro Paese (dopo Israele) che confina con la Striscia. All’inizio della guerra, ai camion con le derrate umanitarie è stato impedito, per mesi, di transitare anche dalle autorità egiziane e il nodo dei profughi palestinesi, in quell’area, è un esodo che non è scoppiato di certo con la mattanza dei tagliagole nei kibbutz di due anni fa. Boldini e compagni (di viaggio) si sono chiesti quanti sfollati da Jabalia o da Khan Younis hanno oltrepassato il valico? Almeno 100mila dalla fine del 2023 a oggi. E sanno, gli stessi auto-inviati che tanto gridano allo scandalo quando possono addossare le colpe a Israele, quanti passaporti egiziani il Cairo ha concesso loro, non negli ultimi ventiquattro mesi ma, diciamo, dai tempi di Nasser? Zero. Il dramma, che dramma è per chiunque, dei profughi non ha stampata sopra l’effige unica di Gerusalemme: vai a spiegarglielo.
IL DIRITTO VIOLATO
Ancora: «I pochi fortunati che si sono salvati e che vivono col senso di colpa di essere al sicuro e che abbiamo incontrato al Cairo», è sempre Boldrini che parla, «ci hanno raccontato cosa significa subire operazioni senza anestesia, soffrire la fame e non trovare nulla da mangiare, nutrirsi col cibo per gli animali trovati in strada e sotto le bombe». Il che, oggettivamente, è una condizione da deprecare e che non fa piacere a nessuno (a nessuno nemmeno in Israele): ma un conto è fermarsi al dato commovente (per carità, degno d’essere riportato) e un altro è chiedersi di chi sia, sul serio, la responsabilità. Perché a questo punto, sia le spedizioni intersettoriali (assieme ai parlamentari ed euro-parlamentari della sinistra come Cecilia Strada, con Boldrini ci sono operatori umanitari e giuristi) che i cortei from the river to the sea, non ammettono mai che (seconda considerazione) le convenzioni internazionali come quella dell’Aia del 1907 o quella di Ginevra del 1949 prevedono il divieto assoluto di utilizzare abitazioni civili o ospedali o altri luoghi pubblici per nascondere le armi, quindi se c’è qualcuno che viola il diritto internazionale e impedisce al personale sanitario di lavorare come dovrebbe non è Israele che bombarda i luoghi sensibili ma i criminali della Jihad islamica che li usano a mo’ di santabarbara fregandosene della popolazione; e (terza considerazione) che dall’inizio dell’ultimo conflitto Israele ha mandato a Gaza almeno 250mila tonnellate di cibo e 3,3 metri cubi di acqua (se poi l’Unrwa ci ha messo lo zampino sopra e se, di conseguenza, alle famiglie sono arrivate a malapena le briciole, è un’altro paio di maniche: e andrebbe approfondito pure quello). Parlare di «ennesimo massacro» odi «inferno in terra», come stanno facendo i rappresentanti dem da Rafah, senza aver chiare in mente certe questioni si traduce in un facile slogan ideologico. Nella vana speranza che, semmai riscano a entrare nella Striscia, gli occhi li aprano per davvero.