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Perché la soluzione di Napolitano mette tutti d'accordo

Pd, Pdl, M5s e Monti hanno, per diversi motivi, apprezzato la decisione del Capo dello Stato
di Sebastiano Solano sabato 30 marzo 2013

3' di lettura

  Il presidente della Repubblica, ancora una volta, è riuiscito in un'impresa che pareva impossbile: mettere d'accordo tutti partiti, M5s compreso. Così come per la soluzione Mario Monti all'indomani delle dimissioni forzate di Silvio Berlusconi, l'idea di Giorgio Napolitano di affidare l'elaborazione di un programma di compromesso tra tutti gli schieramenti a dieci saggi, ha raccolto il consenso di tutti i partiti, anche se per opposte ragioni.  Lo scenario - Tale scelta prefigura uno scenario del genere: verso metà aprile si da il via alla scelta del Capo dello Stato, operazione lunga e complessa che, circa un mese dopo, dovrebbe sfociare nell'avvenuta elezione. Nel frattempo, le due commissioni nominate da Napolitano si daranno da fare per arrivare a delle proposte condivise. Il processo sarò accompagnato da Mario Monti, che intanto rimarrà premier, per poi rimettere il proprio mandato verso il 15 maggio, quando, appunto, dovremmo avere il nuovo Presidente della Repubblica. Quest'ultimo, una volta insediatosi, avrà davanti a se due soluzioni: nominare un governo del Presidente o sciogliere le camere. In quest'ultimo caso, avremo ancora Monti al governo per un po', giusto il tempo di andare a nuove elezioni (un mese? due? fino a settembre?). Uno scenario da incubo, insomma, da cui apparentemente uscirebbe vincitore colui che alle ultime elezioni ha ottenuto la sconfitta più coente: Monti. Che, visto il tracollo elettorale, non poteva chiedere di meglio. L'unico responsabile: Berlusconi - Apparentemente. Perché in realtà, è questo uno scenario che, come per magia, mette d'accordo anche tutti gli altri. Silvio Berlusconi, per iniziare, l'unico che dopo le elezioni, responsabilmente, ha invitato il Pd a convergere sull'unica soluzione possibile per uscire dall'empasse del post-voto: un governo di larghe intese tra le forze responsabili, in modo da approvare quelle leggi necessarie al Paese per uscire da una crisi che sembra senza fine. Tutte cose che alle prossime elezioni gli elettori di certo non dimenticheranno, come dimostrano i sondaggi di questi giorni che danno il Pdl come primo partito.  La fine di Bersani - Il suddetto scenario non è da buttare via nemmeno per il Pd. Le commissioni di 'saggi' imposte da Napolitano hanno, tra gli altri, un significato particolare per il Pd: rappresentano una chiara, netta sconfessione della linea del segretario Pierluigi Bersani, che quest'ultimo pagherà a caro prezzo, ma solo a livello personale. Politicamente, infatti, il segretario è finito. Il Pd, invece, per questa volta l'ha scampata: ha ora il tempo di riorganizzarsi e ricompattarsi, convergendo magari sulla premiership di Matteo Renzi, che di fatto è già in campagna elettorale, alle prossime elezioni. Grillo continuerà con lo sfascismo - Infine, per quanto possa sembrare paradossale, questa soluzione va bene, anzi benissimo anche per Beppe Grillo. I dieci 'saggi' non sono niente di meno che le larghe intese, tanto avversate dal Pd quanto invocate dal Pdl, che Grillo ha sempre auspicato, seppur senza ammetterlo. Qualem migliore occasione per gridare all'inciucio, alla partitocrazia canaglia, al tutti uguali e fare, quindi, un'opposizione dura e pura, anti-sistema e anti-casta? Fare, insomma, un po' come Antonio Di Pietro con l'Idv, prsentandosi poi agli elettori come l'unica soluzione alla casta, alla morte della partitocrazia, sperando in tal modo d'incrementare il proprio consenso.  

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