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Besana: Stato-mafia, un boomerang per la sinistra

I pm volevano incastrare il Cavaliere sono inciampati in Mancino e Scalfaro
di Lucia Esposito domenica 24 giugno 2012

2' di lettura

Augusto Del Noce aveva coniato un’espressione dalla quale traspare il suo genio: «eterogenesi dei fini». Significa che la natura umana non si lascia forzare dalle idee e che alla loro aspirazione a inverarsi nella storia corrispondono risultati puntualmente capovolti. Si persegue  un obiettivo, se ne raggiunge un altro di segno opposto. Il grande filosofo cattolico si riferiva ai movimenti, dal comunismo al fascismo, che avevano segnato il Novecento, ma le sue parole possono adattarsi anche alle ben più modeste contorsioni che avvelenano i nostri anni.  Il teorema Ingroia, per esempio, secondo il quale all’origine di Forza Italia ci sarebbe un patto scellerato tra Berlusconi e la mafia. Le accuse non hanno finora trovato riscontri investigativi degni di questo nome: appaiono infatti palesemente campate per aria, benché tanto credito abbiano riscosso nel dibattito della sinistra, nei salotti televisivi più barricadieri e sulla grande stampa. Vicenda fumosa   La Repubblica, come altri quotidiani, aveva riempito paginate con la fumosa vicenda della trattativa tra mafia e Stato, occasione per esercitarsi in moralismi e invettive, che avevano ovviamente un solo bersaglio: l’ex presidente del Consiglio, che prima di dilettarsi con bunga bunga e burlesque avrebbe intessuto rapporti con la criminalità organizzata. Tra il resoconto di un’intercettazione e un’articolessa, ha tuttavia preso forma un quadro assai diverso dalle attese. Se mai ci furono contatti tra la cupola e i vertici delle istituzioni, ebbero quali protagonisti Nicola Mancino e Oscar Luigi Scalfaro, all’epoca dei fatti rispettivamente ministro dell’Interno e capo dello Stato. Del Berlusca nemmeno l’ombra, sarebbero anzi stati i suoi acerrimi nemici a seguire percorsi irrituali.  Non abbiamo elementi per emettere giudizi, le nostre fonti sono le pagine di cronaca, dalle quali emergono tuttavia ipotesi coerenti con le politiche democristiane dei primi anni Novanta. La balena bianca, ormai in piena decadenza, era ridotta a un inestricabile groviglio di poteri e compromissioni. Di fronte alle stragi di mafia, potrebbe aver reagito perseguendo la semplice riduzione del danno. Un cedimento, non certo il primo: la fermezza non era di casa a piazza del Gesù, soprattutto dopo il delitto Moro. Gli attentati di matrice criminale si arrestarono, a quale prezzo non sappiamo. La difficoltà Non dev’esser stato facile, sul quotidiano bandiera della sinistra, tirare in ballo Scalfaro, morto in odore di quasi santità per il suo irriducibile antiberlusconismo. Le intercettazioni di giornata, cortesemente fornite dai palazzi di giustizia, hanno cominciato a coinvolgere anche Napolitano. La sua colpa? L’aver cercato d’informarsi sull’intricata vicenda. Il tentativo di buttargli la croce addosso ci sembra sgradevole quanto immotivato. L’inquilino del Quirinale ha il dovere di mettere il naso in quel che succede in casa propria; quale capo del Csm neppure gli si possono rimproverare possibili interferenze nel lavoro delle procure.  Resta da chiedersi quale sia il disegno che presiede agli attacchi. Forse il quotidiano che vuol farsi partito ha deciso di cambiare cavallo, o intende inviare messaggi per noi indecifrabili. Occhio però: l’eterogenesi dei fini è sempre in agguato. Renato Besana

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