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Cav e Prof: uno spread e due misure

di Eliana Giusto domenica 29 luglio 2012

3' di lettura

  Giornata nera per i mercati. Milano ha chiuso al 2,7 per cento e lo spread è volato a quota 537. All'ex premier Silvio Berlusconi bastò uno spread di gran lunga inferiore per rassegnare le dimissioni. L'11 novembre 2011, infatti, lo spread era a quota 456.  di Salvatore Dama Un po’ di tempo fa Silvio Berlusconi aveva commissionato una ricerca d’archivio: le dichiarazioni  di tutti quelli che “se va a casa il Cavaliere finisce la storia dello spread”. Ne venne fuori una carrellata di “ultime parole famose” che l’ex premier spesso cita. Con sarcasmo, ma anche con amarezza, visto che «mi sono preso colpe che non erano le mie», cioè l’essere la causa dell’instabilità dei mercati. E adesso che il differenziale tra i titoli di Stato italiani e i bund tedeschi balla pericolosamente al di sopra di quota 500, l’ex premier si prende la sua piccola rivincita personale. Piccola, visto che ne va di mezzo la salute dell’economia e, soprattutto, quella delle sue aziende. «Fate presto» - «Fate presto»: è la prima pagina del Sole24ore del 10 novembre 2011. Lo spread è a quota 575, il quotidiano di Confindustria sceglie una titolazione a caratteri enormi. C’è un’accelerazione della crisi del governo Berlusconi, la permanenza del Cavaliere a Palazzo Chigi viene indicata come la causa per cui le istituzioni europee vogliono mettere sotto tutela l’Italia e il motivo del discredito per cui gli investitori non credono nel Belpaese. Massimo D’Alema ci mette su il carico: «È bastata solo la voce delle dimissioni di Berlusconi per far calare i tassi di interesse, mentre quando ha smentito gli interessi sono cresciuti. È la dimostrazione di quanto il Cavaliere costi agli italiani».  Repubblica ci va pesante, molto di più: «Gli analisti valutano un’uscita di scena del premier in almeno 100 punti base sullo spread tra i btp decennali italiani e i bund tedeschi». Il quotidiano di largo Fochetti fa pure i conti: «In soldoni è un risparmio di 15 miliardi di euro in tre anni».  Concorda Enrico Letta: «Berlusconi ormai è una tassa che grava sulle spalle degli italiani». Il numero due del Partito democratico concorda con il suo quotidiano di riferimento: «Le dimissioni berlusconiane valgono almeno cento punti di spread, denaro contante per le famiglie. Il premier è un danno per il Paese». Anche molti berluscones, confida Letta, lo dicono in privato ma «non hanno il coraggio di dirlo in pubblico». Lungimiranza dc - Il Fatto quotidiano è impietoso. Parla di «tassa Berlusconi» e la pagano «le banche e chi in questo periodo deve chiedere un finanziamento». Era sempre il novembre 2011, il mese in cui l’ex premier restituisce il proprio mandato a Giorgio Napolitano. Il mese in cui il presidente della Repubblica dà incarico a Mario Monti di formare un governo formato da personalità tecniche e incaricato di salvare i conti pubblici italiani. Decisione anticipata da un’alta mossa del Quirinale, datata ì8 novembre 2011:  «Napolitano è stato geniale a nominare Monti senatore a vita», si compiace il presidente dell’Udc Rocco Buttiglione. Che poi azzarda con le regole della speculazione, lui che è un filosofo: «Le dimissioni di Berlusconi valgono 300 punti di spread». Tale e quale. Il premio “occhio lungo” è conteso anche da un altro centrista. Nel dossier del Cavaliere non potevano mancare le dichiarazioni di Pier Ferdinando Casini. Che così analizzava il momento il 10 novembre, un giorno prima dell’addio di Silvio: «Se nascesse un nuovo governo guidato da Monti vedremmo gli effetti subito. È uno degli uomini più stimati. Sono convinto che si possano fare anche misure impopolari. Lo spread si ridurrà». Vero: Monti è uomo molto stimato. Ma anche lo spread, nonostante  lui sieda a Palazzo Chigi, lo è.  

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