Il ribaltone dei "poteri forti". Il Financial Times "vota" per Mario Draghi al Quirinale, esprimendo un parere opposto a quello registrato nelle ultime settimane da altri ambienti molto influenti dell'alta finanza europea e mondiale. L'Economist, ad esempio, aveva incoronato l'Italia "paese dell'anno" magnificando le imprese del premier, guida autorevole e "inamovibile" da Palazzo Chigi. Più o meno lo stesso pensiero espresso, pur senza dirlo esplicitamente, dalla presidente della Commissione Ue Ursula Von der Leyen. O dallo stesso Financial Times, che qualche giorno fa prevedeva scenari catastrofici nel caso di un passaggio di Draghi al Colle. Evidentemente, nelle ultime ore, qualcosa dai Palazzo romani sta filtrando, raggiungendo le redazioni e le segreterie internazionali più influenti. E l'alta finanza, la più lesta nell'intercettare voci e venticelli, ha colto l'antifona rilanciandola: nominare Draghi presidente della Repubblica non sarà più un rischio capitale, per l'Italia e nemmeno per Bruxelles.
Addirittura, è il viatico del Financial Times, il barometro oggi segna una accelerazione ancora più clamorosa: l'ex presidente della Bce "può servire meglio il Paese" da capo dello Stato. Insomma, tutto lascia intendere che la spinta sul Parlamento italiano potrà essere sostanziale, sostanziosa e decisiva. Questo perché "da ottimo economista, Mario Draghi conosce la teoria del second best, della seconda migliore opzione. In un mondo perfetto, dovrebbe rimanere premier per tutti i cinque anni del piano nazionale di ripresa e resilienza degli investimenti pubblici e delle riforme, il Pnrr finanziato essenzialmente dall'UE che ha messo in carica da quando è entrato in carica a febbraio". "Ma se il risultato perfetto è irraggiungibile, è giusto optare per la migliore soluzione imperfetta: vale a dire che Draghi sia eletto presidente della Repubblica dal Parlamento a fine gennaio, e da lì per i prossimi sette anni sovrintenda alle questioni come capo dello Stato".