Il più impopolare

Giuliano Amato al Quirinale? “Gli italiani se lo ricordano ancora”: perché bisognerebbe scappare

Filippo Facci

Si comincia dai preliminari, anche se - in politica e nel sesso - sono passati di moda. Sempre a proposito di politica e di sesso: è quando il gioco si fa mollo che gli Amato cominciano Giuliano Amato a giocare. Perché resta, la sua, la storia di chi viene ripescato ogni qualvolta l'imbarazzo risulterebbe eccessivo per chiunque altro: su questa semplice base egli spera di poter diventare Capo dello Stato, oltre a qualità non riferibili (in lingua italiana) benché Richard Stengel, nel suo celebre «Storia della piaggeria», le chiamasse «smooth boots», «back scratcher» financo l'orribile «brown-nose», cioè lisciastivali, grattaschiena e naso marrone: trivialità che Libero, nel suo gareggiare in eleganza notoriamente solo col New Yorker, mai si permetterebbe. E uno dice: e allora Berlusconi? Se c'è di mezzo lui, allora, vedi che scelgono persino Amato. Sbagliato. Cioè: sarebbe un errore mostruoso, perché il pensarlo significherebbe non conoscere la storia e la memoria di questo Paese che è un Paese di anziani, diversamente da Amato e Berlusconi che sono giovinotti di 83 e 85 anni.

 

 

TARTUFESCO
I preliminari, di diceva. Non è mai stato chiaro di quale autorevolezza Amato sia effettivamente dotato: la «quota amato», intesa come misteriosa necessità di conferirgli sempre incarichi e poltrone, prescindeva sempre da banali problemi come l'autorevolezza e l'empatia ch' egli potesse riscuotere nel Paese, e che, non fosse chiaro, rasentavano e rasentano sempre lo zero. Da questo punto di vista (quello dell'identificazione popolare con la stramaledetta casta) Giuliano Amato è campione olimpico. Per una becera parte di italiani Giuliano Amato è quello che si becca 31mila euro di pensione al mese (poi la cifra sarà imprecisa, ma non rompete) mentre un'altra becera parte di italiani percepisce a pelle suo profilo tartufesco, l'impopolarità da professorino la cui parola non vale nulla (ha pubblicamente mentito in più occasioni) e pure percepisce il suo curriculum da personaggio che ha preso l'autobus l'ultima volta nel '56, da burocrate che piace alla gente che dispiace, idolo dei cerchiobottisti, dei presentatori di libri, dei patiti del potere per il potere: il campione olimpico, come detto, di quanto sia più estraneo possibile a quel processo di identificazione minima (minima) che in teoria dovrebbe riguardare il rapporto tra cittadini e Presidenza della Repubblica: questo per quanto riguarda gli italiani beceri e senza memoria. Poi ci sono gli italiani beceri ma con un po' più di memoria. E che ricordano che questo pinocchietto, questo castorino, questo topo, abbandonò ufficialmente la politica nel 1992, 1993, 1994, 2007 e 2008: e adesso è qui ancora qui a mestare. Questi italiani rammentano un omino che conosce il popolo come può conoscerlo chi fu imposto da Bettino Craxi come parlamentare, sottosegretario, ministro, vicesegretario, vicepresidente e presidente del Consiglio, più incarichi vari: il tutto al riparo da ogni necessità di raccattare consenso popolare e anche finanziamenti, materia di cui poi si è occupato - per conto di Mario Monti- nonostante avesse ammesso di non capirne niente.

 

 

SEGRETE STANZE
Domanda legittima: ma allora perché esiste? Perché non è svaporato come altri? Risposta: perché i suoi sforzi si sono sempre prodigati in segrete e ovattate stanze, laddove la sua capacità di mediazione, negli anni, l'ha trasformato in una sorta di Gianni Letta esclusivamente pro domo sua. Per il resto è un dispensatore di opinioni onestamente non memorabili, un organizzatore di convegni con protagonista lui medesimo, un elaboratore politico che al massimo ha partorito il programma elettorale del dimenticato Triciclo (summa elettorale di Ds e Margherita e Sdi) e il fatto che sia ancora in circolazione è il vero tratto saliente del suo curriculum. Amato lo ripeschi come nei laghetti della pesca sportiva. Rifiutò tre volte la segreteria del Partito socialista perché troppo legata al consenso (orrore) e a quell'Italia becera che lui non ama particolarmente, ricambiato. La sua specialità è quindi assumere incarichi al posto di altri, un ripiego professionista, a cominciare da quando nel 1992 sostituì Bettino Craxi che pure l'aveva designato al proprio posto. E qui Amato può solo confidare sull'alzheimer del suo becero popolo, visto che il suo fu il primo e autentico governo tecnico (travestito da politico) incaricato di tener conto che era stata firmata una cosa chiamata Trattato di Maaastricht. Amato deliberò il prelievo forzoso del 6 per mille dai conti correnti bancari di tutti gli italiani, ma beninteso, per un «interesse di straordinario rilievo» in relazione a «una situazione di drammatica emergenza». Ah beh, allora. Poi perse pesantemente la battaglia contro una sonora svalutazione della lira, ciò che dapprima negò, definendola «un riallineamento»: un mese dopo ammise di aver mentito. Seguì una finanziaria lacrime e sangue da 93mila miliardi di lire (primae vera picconata al welfare italiano) che adesso non conta se fosse giustificata o no: conta che c'è ancora chi non ha smesso di tirare moccoli ogni volta che pensa a lui. Giuliano Amato, per sempre, divenne il contrario del suo cognome.

STILE
Poi ci sarebbero delle questioni di stile di cui magari vi importerà poco, ma la cifra del cosiddetto dottor Sottile (definizione malevola di Eugenio Scalfari) prese a definirsi una volta per sempre a margine della vicenda Craxi, l'uomo a cui l'omino doveva tutto: ma che il professorino mollò in un nanosecondo dopo i primi avvisi di garanzia, spingendosi a non nominarlo praticamente più. Da Londra, in visita ufficiale da Capo del governo, dichiarò che Craxi era politicamente finito. Non è mai andato a Hammamet a trovare il suo creatore e neppure lo si è visto ai funerali, forse memore delle litografie titolate «I becchini» che Craxi gli aveva dedicato. Poi passò disinvoltamente coi Ds e proseguì la collezione di incarichi: dal '94 al '97 presidente dell'Antitrust, l'anno dopo ministro delle Riforme con D'Alema, nel '99 ministro del Tesoro sempre con D'Alema, sinché dal 2000 al 2001, poi, la sua attitudine sostitutiva lo trasformò nuovamente in presidente del Consiglio prima di diventare senatore, e ancora, dal 2002 al 2004, vice presidente della Convenzione europea, e ancora, poi, col governo Prodi, ministro dell'Interno. Se ve ne ricordate poco, forse c'è una ragione. Oppure avete l'alzheimer, che peraltro del Colle è stato sovente un discreto ospite.