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Enrico Letta gioca a fare l'antifascista in Francia mentre il mondo è in guerra (e Draghi traballa)

di Giovanni Sallusti venerdì 4 marzo 2022

2' di lettura


Il problema principale di Enrico Letta non è di natura politica, bensì psicanalitica. O ancora meglio, psico-geografica. Enrico infatti vorrebbe tanto essere nato in Francia, chiamarsi "Henri", poterlo dire arrotando la "r" come solo in certi arrondissement di Parigi. Ahilui, è venuto al mondo non sotto la Tour Effeil, ma più prosaicamente sotto la torre pendente, a Pisa. Ciononostante, non si è perso d'animo, e nelle pause che si è preso dalla politica italiana (o che questa gli ha imposto) è riuscito a diventare direttore della Scuola internazionale dell'Institut d'études politiques parigino nonché presidente dell'Istituto Jacques Delors, think tank con sede sempre nella capitale francese (carica ricoperta tuttora). È proprio in questa veste che ha partecipato a un dibattito sulle elezioni a cui tiene di più (quelle per l'Eliseo, ça va sans dire), su uno dei canali del servizio pubblico che apprezza di più (France 2), con quella che considera la vera avversaria per il governo del Paese (Marine Le Pen).

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Non è surrealismo giornalistico, è molto di più e più spaesante, è la realtà andata in onda Oltralpe nella tardissima serata di ieri. Forse indispettito dalla triste evidenza di non poter più reiterare l'"allarme antifascista" contro le destre italiche (Sal vini è socio nel governo di unità nazionale, la Meloni è appena andata alla convention dei conservatori americani a ribadire la collocazione atlantica e occidentale), il segretario del Pd ha valicato l'agognata frontiera, perché senza un improbabile Duce 5.0 il suo partito perderebbe ogni residua ragion d'essere. E lo ha trovato in questa signora di mezz' età, che ha tagliato i ponti con l'estremismo paterno da anni e nel frattempo costruito un'identità contemporanea. Contestabile come tutte le identità, ovviamente (su Putin urgono passi irreversibili, ad esempio), ma non è questo che importa a Enrico, pardon, a Henri. Per lui, l'importante era essere lì, a "dibattere" con la presidente del Rassemblement National, quasi a incarnare la gauche illuminata e illuminista, degradando Macron a suo vice operativo.

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È il sogno di una vita, la riconciliazione col proprio Io lacerato, finalmente è diventato il leader della sinistra francese. Poco importa che in Italia si stiano prendendo decisioni gravi e necessarie come il sostegno bellico de facto all'Ucraina, che nel bel mezzo di una guerra il governo di cui lui è azionista barcolli sulla riforma del catasto, che le correnti del Partito Democratico stiano, da tempo e come sempre, affilando i coltelli con destinazione la sua schiena. Lui quasi lo invoca, il colpo decisivo, di modo che possa dedicarsi a tempo pieno alla vera emergenza, le Presidenziali transalpine. Ci spiace, cugini, Henri non ve lo meritate nemmeno voi. ©

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