La solitudine della leader

Giorgia Meloni, indiscrezioni dai vertici FdI: "Cos'ha in testa davvero", big-bang nel centrodestra

Alessandro Giuli

La solitudine di Giorgia Meloni è una gabbia dorata vissuta malvolentieri dalla leader dei Fratelli d'Italia. Certo i sondaggi premiano il suo ruolo di monopolista dell'opposizione, ma lo sfilacciamento del centrodestra rimane per lei una condizione innaturale determinata da quella che la sua classe dirigente considera una coalizione da basso impero carolingio ostaggio di feudatari fuori controllo. Il riferimento è anzitutto al caso Sicilia, laddove Forza Italia e Lega stanno manovrando per escludere la ricandidatura del governatore uscente Nello Musumeci a causa dei dissidi con il presidente dell'Ars, il berlusconiano Gianfranco Miccichè. Una mossa che ha il sapore della resa dei conti personale, più che strategica, e che al limite potrebbe indurre FdI a chiedere in cambio una candidatura in una grande Regione del Nord (Piemonte o Lombardia) oltre che nel Lazio, naturalmente. Conviene?

 

 

 

RECIPROCI SOSPETTI

Ma la questione riguarda l'intero paesaggio politico nazionale. Chi ha accusato la Meloni di non voler sporcarsi le mani con il governissimo di Mario Draghi si è sentito rispondere che l'onere della prova spetta semmai a Matteo Salvini e Silvio Berlusconi, i quali della larga maggioranza a trazione giallorossa fanno parte a dispetto degli impegni scritti sulla fedeltà di coalizione: diteci voi se volete vincere le prossime elezioni insieme o se ciascuno dovrà andare per conto proprio. E ancora lì sono rimasti tutti, ovvero ai reciproci sospetti: che Lega e Forza Italia preferiscano triangolare per contenere la concorrenza interna meloniana, se non addirittura che puntino a replicare la fotografia del quadro esistente anche dopo il voto del 2023; e che Giorgia stia meditando di restare la regina della minoranza in attesa di avere tanto fieno in cascina da azzardare un'Opa ostile sull'intero centrodestra. Ma a via della Scrofa non esiste alcun piano d'attacco che non coincida con la volontà di restituire ai propri elettori - maggioritari in Italia - la possibilità ritrovare un centrodestra unito e degno di esser votato. È a grandi linee questo il messaggio che verrà offerto all'opinione pubblica nella Conferenza programmatica di Fratelli d'Italia fissata per il 29 aprile a Milano: noi siamo l'anima di un nuovo centrodestra che sa parlare a mondi e ambienti di là dai confini della destra, senza per questo aver cambiato stile e linguaggio politico; abbiamo una leadership di caratura internazionale che sa confrontarsi con le istituzioni - Giorgia non ha sostenuto la rielezione di Sergio Mattarella al Quirinale, ma l'ha già incontrato cordialmente due volte - e che ha mostrato un grande senso di responsabilità con Palazzo Chigi sul dossier ucraino; l'upgrade è talmente innegabile che due terzi degli attuali elettori meloniani non provengono dal vecchio bacino di An, così come una parte consistente dei dirigenti più o meno giovani (dalla cosiddetta generazione Atreju a figure come Guido Crosetto). Morale: siamo noi a voler farci carico di ripristinare concordia e unità d'intenti di un centrodestra che sia alternativo al fronte progressista. Un passo obbligato - ritiene Giorgia - vista anche l'oggettiva difficoltà di modificare l'attuale sistema di voto in senso proporzionale negli scampoli di legislatura disponibili. Insieme anche obtorto collo, dunque? Se è vero che la Lega sconta una difficoltà oggettiva dopo un anno abbondante di governo in cui su immigrazione, sicurezza, tasse e libertà civili ha portato a casa ben poco; se è vero che Forza Italia non potrà consegnarsi in eterno all'ala governista che rema nella direzione di uno modello Ursula (tutti tranne i sovranisti) in nome del primum vivere... la situazione è destinata a sbloccarsi verso una ricomposizione. Il punto di frizione, ovvio, restano i rapporti di forza interni. Ma per FdI vale ancora la vecchia regola che le primarie del centrodestra le fanno gli elettori nelle urne. L'essenziale è ristabilire regole chiare e impegni precisi prima del voto. E il dubbio che invece, alla fine, Giorgia voglia ballare da sola? Usciti dal perimetro della destra, raccolti i consensi dell'elettorato conservatore grillino già transitato per la Lega, perché non immaginare quell'autarchico Partito della nazione già adombrato dal Pd renziano nel 2014 (giunto al 41 per cento), dal Movimento 5 Stelle nel 2018 (32%) e poi dalla Lega (34%) nelle europee del 2019?

 

 

 

BIPOLARISMO CLASSICO

Contrariamente a quanto ci si possa aspettare, la risposta è "no" ed è così proprio in virtù dei precedenti appena citati: fuochi di paglia intensi ma illusori e passeggeri... La vocazione maggioritaria della Meloni esiste eccome ma lei preferisce farla valere in uno schema bipolare classico, in cui la democrazia dell'alternanza sia rappresentata da due poli concorrenti che si legittimano a vicenda. In questo senso il migliore alleato fra gli avversari è il segretario del Pd, Enrico Letta, in attesa che gli alleati naturali se ne facciano una ragione.