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I sindaci che tifano per Mario Draghi fanno arrabbiare Giorgia Meloni

di Alessandro Gonzato lunedì 18 luglio 2022

3' di lettura

I sindaci che chiedono a Mario Draghi di rimanere premier diventano un migliaio (per la stragrande maggioranza di sinistra e centristi) sugli 8 mila totali. Giorgia Meloni, i governatori e i primi cittadini di Fratelli d'Italia parlano di «un uso delle istituzioni senza pudore». I rappresentanti della sinistra si scagliano contro la leader dell'opposizione. Tutto è cominciato dalla lettera aperta che una dozzina di sindaci venerdì hanno scritto a Draghi: tra loro Giuseppe Sala (Milano), Roberto Gualtieri (Roma), Dario Nardella (Firenze), Antonio De Caro (Bari), Stefano Lo Russo (Torino) e Gaetano Manfredi (Napoli), tutti di centrosinistra, ai quali s' è associato qualche centrista appoggiato dal centrodestra come Luigi Brugnaro (Venezia) e Marco Bucci (Genova), seguiti dal governatore centrista ligure Giovanni Toti. «Le nostre città», questa la sintesi del messaggio, «chiamate dopo la pandemia e con la guerra in corso a uno sforzo inedito per il rilancio economico, la realizzazione di opere pubbliche indispensabili e la gestione dell'emergenza sociale, non possono permettersi oggi una crisi che significa immobilismo e divisione laddove servono azione, credibilità, serietà. Noi sindaci chiamati alla difficile gestione dei problemi che affliggono i cittadini chiediamo a Draghi di andare avanti e spiegare al parlamento le buone ragioni che impongono di proseguire nell'azione di governo. Allo stesso modo», questa la conclusione, «chiediamo a tutte le forze politiche che hanno dato via alla maggioranza di anteporre l'interesse del Paese ai propri problemi interni».
 

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MANCANZA DI REGOLE La replica della Meloni è stata decisa: «Mi chiedo se tutti i cittadini rappresentati da Gualtieri, Sala, Nardella o da altri sindaci e presidenti di Regione che si sono espressi in questo senso condividano l'appello perché un governo e un parlamento distanti ormai anni luce dall'Italia reale vadano avanti imperterriti, condannando la nazione all'immobilismo solo per garantire lo stipendio dei parlamentari e la sinistra al governo. E indipendentemente da chili ha votati», ha affondato la leader di Fdi, «mi chiedo se sia corretto che questi sindaci e governatori che rappresentano tutti i cittadini che amministrano, anche quelli che la pensano diversamente, usino le istituzioni così, senza pudore, come se fossero sezioni di partito. La mancanza di regole e di buonsenso nella classe dirigente in Italia comincia a fare paura».
Pronta la contraerea Dem. Piero Fassino, presidente della Commissione Esteri: «Curioso il modo di ragionare di Meloni: se lei chiede elezioni è per difendere la democrazia. Se un migliaio di sindaci tra cui molti di centrodestra (in realtà una netta minoranza, ndr) chiedono a Draghi di proseguire, l'appello è strumentale. Cioè», ha aggiunto Fassino, «le istituzioni valgono se comando io». Nardella ha parlato di «nervosismo» e «aggressività» da parte della Meloni: «Forse Fdi spera di lucrare consensi dal caos istituzionale ed economico del Paese, ma dalla cenere si raccoglie solo cenere». Osvaldo Napoli, deputato di Azione, è andato giù pesantissimo: «La Meloni si segnala per urla e strepiti contro il governo, contro i sindaci e i governatori. È un caso di analfabetismo istituzionale. La Meloni è tornata in modalità Vox, cioè la tribuna che incitava la folla spagnola alla convention del partito estremista promettendo sfracelli».
 

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RABBIA A SINISTRA Andrea Marcucci (Pd): «La Meloni insulta i sindaci e si conferma analfabeta istituzionale». I governatori di Fdi non ci stanno. In una nota il presidente dell'Abruzzo Marco Marsilio e i governatori di Marche e Sicilia Francesco Acquaroli e Nello Musumeci hanno affermato di «non condividere l'iniziativa lanciata da alcuni colleghi, sia nel merito che nel metodo. Nel merito», hanno spiegato, «crediamo che in questo momento l'Italia possa permettersi tutto tranne un governo paralizzato da giochi di palazzo e scontri tra partiti di maggioranza. Nel metodo», hanno proseguito, «un governatore o un sindaco non possono permettersi di usare le istituzioni che rappresentano per finalità politiche o peggio di partito». Si sono dissociati dall'appello a Draghi pure il sindaco di Cagliari, Paolo Truzzu e tutti gli amministratori di Fdi del Veneto. 

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