A tu per tu

Fazzolari, la promessa: "Francia e Germania, ora basta. Una nuova Ue"

Pietro Senaldi

«Questo governo vola alto. L'obiettivo è trasformare l'Italia, un Paese nel quale la sinistra ha reso l'illegalità una cosa con la quale convivere e i grillini hanno fatto passare il concetto che si può campare gratis, senza fare nulla ma semplicemente aumentando il debito pubblico a dismisura a colpi di bonus e redditi di cittadinanza, soldi spesi senza ritorno, convinti di avere un budget illimitato per ogni idiozia».

Cambiare l'Italia? Vasto programma, direbbe il conservatore Charles De Gaulle, che così rispose a un suo collaboratore che gli suggeriva di eliminare gli imbecilli dalla Francia...
«Sì, ma ci stiamo lavorando, ed è questa la notizia. La sinistra si indigna per i nostri decreti contro i rave-party o che limitano le attività delle ong in mare. Ci accusa di essere una destra liberticida ma è l'opposto: noi vogliamo rendere l'Italia un posto civile, dove i cittadini onesti possano essere davvero liberi. Oggi molte istantanee della nostra nazione potrebbero essere state scattate in un Paese del Terzo Mondo».

Reclama più ordine e disciplina?
«Le provocazioni sono fumo negli occhi. Il governo sta lavorando perché gli italiani non si arrendano e non diventino un popolo assuefatto a illegalità, ingiustizie e soprusi, rassegnati all'eccezione Italia, dove se vuoi aprire un negozio ti fanno morire tra tempi, regole, burocrazia ma se stendi un telo in strada e ti metti a vendere prodotti di ignota provenienza nessuno di dice nulla».

Nel suo editoriale di sabato sul Corriere della Sera, l'ex direttore Paolo Mieli, guru della sinistra nonché gran volpone e maestro nell'intercettare e direzionare i venti della politica, ammoniva la Meloni a fare piano nella sua opera riformatrice...
«Nel medio periodo non si possono attendere miracoli, quelli sono prerogativa dei signori del super bonus, che ti fanno rifare la casa gratis ma poi creano un buco di 70 miliardi nelle casse dello Stato e non ti danno i soldi promessi».

La rivoluzione passa per il tavolo di Giovanbattista Fazzolari, non per nulla sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, il che significa lavorare fianco a fianco, nel senso fisico del termine, alla premier. Identità d'intenti e di vedute. «Stiamo tentando una svolta culturale, per estirpare i mali che frenano ltalia. La sinistra, che ci ha convissuto e se ne è fatta forte, lo ha capito e dà fuori di testa. Ma anche le forze della maggioranza lo avvertono, si vede in consiglio dei ministri, dove il clima è positivo, le polemiche delle settimane seguite alla formazione del governo sono lontane e si marcia in un'unica direzione, perché tutti sanno che l'occasione è unica e la prospettiva di lavoro può essere di cinque anni». Non sono frasi di circostanza. Il braccio destro del premier, pur vantando ascendenze diplomatiche, non ama essere moderato nei toni né dipingere con il pastello, predilige le tinte forti e ha una lingua tagliente. Non si nasconde, come quando dice che «la congiuntura internazionale, economica e politica, è molto preoccupante, per tutti, altrimenti non avremmo dedicato i due terzi della manovra a sostenere imprese e famiglie sul caro-bollette, dovendo accontentarci di quel che è rimasto per provare a fare politica».

Avete eliminato lo sconto di 20 centesimi al litro sulla benzina, mossa impopolare...
«Direi popolare: quello sconto costava 10 miliardi e andava a vantaggio essenzialmente dei ceti più abbienti. Sono soldi che impiegheremo meglio».

Come quelli che recupererete dal reddito di cittadinanza, altra scelta divisiva?
«Tra un anno il reddito di cittadinanza non ci sarà più, ed è giusto così. Una misura culturalmente sbagliata ed economicamente fallita, che peraltro non va a tutti i poveri e neppure a quelli più poveri tra i poveri».

Con cosa lo sostituirete?
«Chi non può lavorare o ha figli minori a carico sarà assistito, con valutazioni caso per caso. Gli altri, se hanno meno di sessant' anni, lavorano o si danno da fare, come dappertutto. E chi non è occupabile perché non appetibile sul mercato, avrà occasioni per qualificarsi».

Non teme la recessione e una rivolta sociale?
«Questo governo finora si è mosso prevalentemente a favore delle classi disagiate. Quanto alla recessione, non aiuta certo la decisione della Banca Centrale Europea di aumentare i tassi. L'impennata dei prezzi oggi non è legata a una fase espansiva dell'economia ma è dovuta soprattutto al rincaro delle materie prime. Alzare i tassi contrasterà poco l'inflazione, in compenso frenerà l'economia».

Quanto alle lacune dell'Europa, oggi la Meloni incontra Ursula von der Leyen, a Roma per presentare il libro dell'ex presidente socialista dell'Europarlamento, David Sassoli, sull'Unione: saranno scintille?
«Mano, i rapporti sono buoni, altrimenti l'Italia non sarebbe riuscita a portare a casa l'intesa sul tetto europeo ai prezzi, al quale lavorava l'ex premier Draghi e che è stato a lungo osteggiato proprio dalla Germania e dall'Olanda».

Appunto, la presidente tedesca non ne sarà stata felicissima...
«Abbiamo portato a casa l'intesa, che ha subito fermato la speculazione, fatto scendere il prezzo del gas a 90 euro, malgrado il tetto sia fissato a 180, e porterà ribassi in bolletta visibili nel giro di un paio di mesi, perché siamo riusciti a mettere in minoranza i falchi europei facendo asse con i Paesi dell'Est e del Mediterraneo. Una cosa che il Pd non si sarebbe mai azzardato a fare, visto la sua subalternità a quella che loro chiamano pubblicamente l'Europa di serie A».

Ma all'Italia non conviene mantenere un rapporto privilegiato con Germania e Francia?
«Il quadro è complesso e non si può banalizzare troppo. Non sono un fautore dei rapporti privilegiati tra alcuni Stati in seno all'Unione, perché questo rischia di andare a discapito degli altri Stati membri».

Da dove si riparte allora?
«Dalla constatazione che una Ue eccessivamente incentrata sull'asse franco-tedesco ha mostrato grandi limiti. Lo dicono la crescente disaffezione dei cittadini verso l'istituzione, l'incapacità di farsi trovare pronti davanti alle grandi sfide della nostra epoca».

È il momento dell'Italia?
«Di certo l'Italia della Meloni non è fuori dall'Europa, come pronosticava la sinistra. Non è un mistero che Fdi sta lavorando per spostare l'asse dell'Unione Europea, dopo le elezioni del 2023 e in caso di un crollo dei socialisti, verso una nuova maggioranza che nasca da un'intesa tra il Partito Popolare e i Conservatori, attualmente presieduti dal nostro premier».

Così si rischia una rottura con Francia e Germania?
«Non vedo questo pericolo. La Germania, esprime il presidente del Ppe e a Bruxelles il gruppo di Macron non sta a sinistra. Francia e Germania sono alleati fondamentali dell'Italia e i legami tra i nostri Paesi e i nostri popoli sono preziosi. Ma è tempo che l'Italia torni a realzionarsi senza complessi di inferiorità con i suoi partner europei, anche nell'interesse dell'intera Unione».

L'operazione verrebbe meglio se in Italia ci fosse un partito unico dei conservatori?
«Leggo che si parla di un partito unico del centrodestra, ma francamente mi sembra un discorso quantomeno assolutamente prematuro e personalmente non sono convinto che, nel complesso, sia un grande affare per nessuno di noi. Il centrodestra, tradizionalmente, ha sempre tratto la propria forza elettorale dal fatto di essere unito nelle proprie divisioni. Fdi, Lega e Forza Italia sono entità diverse, con le loro specificità, che sono importanti e alle quali gli elettori sono legati. Un partito unico adesso mi sembra che porterebbe confusione, anziché semplificare il quadro».

Siamo alla ripresa dell'attività politica: da cosa partirà l'attuazione del programma
«Dal presidenzialismo...».

Con una Bicamerale?
«La Bicamerale ha senso se l'opposizione sta al gioco e dà il suo contributo con spirito collaborativo, altrimenti è solo una perdita di tempo».

Avete il problema dell'autonomia...
«No, l'autonomia rientra nella riforma dello Stato che abbiamo in testa».

E le divergenze con la Lega?
«L'autonomia è oggi una battaglia della Lega come di Fdi, le cose non sono più come cinque anni fa, anche perché il contenuto è stato meglio definito e la narrazione è cambiata: siamo tutti d'accordo di dare maggiori competenze alle Regioni che hanno dimostrato di saper spendere bene le loro risorse».

Parliamo un po' di nomine: l'opposizione vi accusa di fare piazza pulita delle eccellenze nelle istituzioni...
«Sono critiche che confermano quanto denunciato dalla Meloni in campagna elettorale: il Pd non è più una forza politica, si è ridotto a un sistema di potere, che ingaggia le battaglie più tenaci proprio quando qualcuno lo minaccia».

La sensazione però è che ora che avete preso le misure del governo vi apprestiate a fare piazza pulita...
«Non è il nostro metodo, non vogliamo sostituire il sistema di potere del Pd con un sistema di Fdi ma solo mettere il più capace in ogni posto, a differenza di quanto fanno i dem, che piazzano solo i loro, come la furente reazione che stanno avendo dimostra. È la legge Bassanini, ex ministro dem, che ce lo consente: nomineremo chi meglio potrà portare avanti le indicazioni del governo nei vari campi. I dem fanno battaglie epocali solo quando tocchi i loro interessi, lo si è visto con il contante».