L'intervista

Schlein-Meloni, Sara Kelany: "Vi spiego la vera differenza"

Antonio Rapisarda

La notte dello spoglio delle primarie dem c’era chi twittava: «Al congresso del Pd sta vincendo Meloni...». L’autrice era Sara Kelany, deputato di Fratelli d’Italia ed esponente della seconda infornata della “generazione Atreju”. Dietro il rito sempre meno partecipato dei gazebo, il P stava celebrando tutt’altro che la sua rinascita: «Stava collezionando l’ennesima sconfitta». E qui c’entra solo in parte il clamoroso scollamento sentimentale tra la nomenclatura del partito e gli elettori. C’entra proprio l’irruzione sulla scena del ciclone Elly Schlein. «Ciò che perla sinistra è una novità senza precedenti – spiega l’esponente meloniana a Libero –, per noi è “storia” da più di vent’anni...».

Onorevole, della serie: Pd benvenuto nel terzo millennio?
«Esatto. Noi ci siamo arrivati già da qualche decennio con una leader naturale. Figlia di una storia vera, faticosa, costruita con il merito. Giorgia, prima dell’impresa epocale di Palazzo Chigi, aveva già dimostrato di essere la più brava sia nell’organizzazione giovanile che nella missione di rifondare la destra di governo con Fratelli d’Italia. Così si abbattono i “tetti di cristallo”, non declinando le cariche al femminile. Siamo da sempre più avanti di loro».

Ci voleva Meloni, dunque, per trovare una dirimpettaia a sinistra?
«Già, evidentemente il Pd ci insegue per recuperare terreno. Nicola Zingaretti, addirittura, in un’intervista ha esortato i suoi a guardare al modello Meloni: capace di innovare senza distruggere».

 

 



 

Si dice che il punto in comune fra Giorgia ed Elly è che siano partite entrambe sfavorite. È così?
«Non direi proprio. Giorgia è partita da una situazione molto difficile anche dal punto di vista familiare: ha dovuto guadagnarsi tutto. Lo stesso nella vita di partito: ogni centimetro lo ha conquistato faticando e studiando. La Schlein, per sua fortuna, ha percorso una strada in discesa. Sia per il contesto di partenza e sia poi – politicamente parlando – per la folta schiera di correnti e nomi forti del “vecchio” Pd che l’hanno sostenuta. Eccome se l’hanno sostenuta...».

Insomma, chiamatela Elly ma non chiamatela “underdog”...
«Assolutamente. È una narrazione al limite del distopico. Aggiungo: anche questo parallelismo che la stampa di sinistra ha voluto forzare è la dimostrazione del fatto che il Pd e i suoi media di riferimento ci rincorrono».

C’era attesa per il suo primo intervento in Parlamento: e invece l’abbiamo sentita invocare la solita solfa delle “dimissioni”. Ieri è toccato a Matteo Piantedosi, sulla strage di Crotone, con tanto di tirata per la giacchetta pure al premier. È questa la discontinuità?
«Elly Schlein pur di dare un segnale di vitalità politica in pasto alla stampa, oltre ad attaccare pesantemente il ministro, ha strumentalmente affermato che Giorgia Meloni non avrebbe detto una parola sulla terribile tragedia di Crotone. Assolutamente falso. Il premier ha manifestato per primo cordoglio per le vittime e ha attivato subito i canali con l’Ue – come del resto ha fatto anche il presidente Mattarella – sul problema migratorio. Altro che discontinuità: se la sua nuova opposizione inizia con tali falsità, si pone totalmente in linea con ciò a cui il Pd ci ha “abituato” in tutti questi anni».

 

 

Per quanto riguarda la sua prima uscita pubblica la neosegretaria è attesa sabato al corteo antifascista di Firenze.
«È una mossa che non mi stupisce. La Schlein d’altronde è la nuova maschera della solita sinistra massimalista. Passano gli anni, cambiano i segretari ma la coperta di Linus dell’antifascismo, in assenza di concretezza e aderenza alla realtà, resta per loro l’unico richiamo identitario».

La sua missione dichiarata è quella di “rappresentare un problema per il governo”. Per voi, invece, che cosa rappresenta?
«Se questa è la proposta politica del neosegretario, credo che il problema più che del governo sarà del Nazareno che avrà difficoltà a interloquire con gli italiani che da un’opposizione responsabile si aspettano risposte concrete e non il “tanto peggio, tanto meglio”. Non a caso centristi e riformisti dem sono già preoccupati: Rosy Bindi stessa ha chiesto parole più nette sulle ragioni dell’Ucraina».

Messa così, per voi si dovrebbe aprire una prateria.
«Più che altro sono loro che si stanno chiudendo in un recinto».