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Pd e M5s, il pretesto della sinistra: sono spaccati ma processano i leghisti

di Pietro Senaldi giovedì 23 marzo 2023

3' di lettura

Sul fronte ucraino Conte fa il ventriloquo di Xi Jinping, la Schlein diserta e la Meloni dichiara di non volere la guerra ma di «non essere così ipocrita da confondere un’invasione con la parola pace». Dopo di che la giornata si dipana con l’opposizione e i suoi corifei a mezzo stampa che dichiarano spaccato il fronte della maggioranza perché ad ascoltare la relazione del premier non ci sono ministri leghisti.

Anzi, ce n’è uno, urge rettifica. No, per la verità sono due, si aggiunge a stretto giro di posta. Beh, per la verità, la sinistra parla a vanvera e si contraddice anche quando tace, sarebbe il terzo lancio d’agenzia, che però non arriverà mai. Già, perché malgrado il centrodestra di governo abbia sempre votato a favore del finanziamento e dell’approvvigionamento della resistenza ucraina, e Fdi lo ha fatto anche quando occupava la trincea dell’opposizione, la coalizione è sempre costretta a riaffermare da che parte sta. L’ultimo pretesto per attaccarla sono state le dichiarazioni del capo dei senatori leghisti, Romeo, che alla vigilia dell’intervento in Aula del presidente del Consiglio ha dichiarato che «si parla troppo di guerra e troppo poco di pace». Che vorrà dire? Che non c’è niente di nuovo sul fronte orientale. Queste critiche alla linea totalmente filoatlantica del presidente del Consiglio, che alternativamente l’alleato leghista e l’alleato berlusconiano si incaricano di muovere, sono funzionali alla tenuta della maggioranza e alla conservazione del suo gradimento presso l’elettorato.

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Il popolo del centrodestra sarà pure composto di patrioti, e senza dubbio sceglierebbe cento volte Washington rispetto alla Mosca di Putin, però sarebbe una barzelletta sostenere che il suo cuore palpiti con apprensione per le sorti di Zelensky più di quanto non sanguini per i costi che è costretto a sopportare tra bollette, inflazione e pieno dal distributore.

Nessuno contesta la linea politica della Meloni. Tutti ne vedono la necessaria ineluttabilità, il bisogno primario del primo governo di destra-centro di legittimarsi agli occhi del proprio mondo con una determinata, acritica e ripetuta scelta di campo. Un passaggio inevitabile per sedere al tavolo dell’Occidente e riuscire a far sentire le proprie ragioni, magari approfittando della crisi dell’Unione Europea, del nuovo isolamento internazionale tedesco e delle instabilità interne francesi. Se vuoi cambiare qualcosa devi stare nella stanza dei bottoni e per entrarci vuoi entrarci senza essere il più muscoloso occorre non forzare la porta e uniformarsi al galateo in vigore.

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Nessuna maggioranza d’altro canto può permettersi di ignorare a lungo i mal di pancia dei propri elettori né può illudersi di campare sulle divisioni degli avversari. E così, le voci eterodosse di Romeo, di Berlusconi, di quanti si alternano nel centrodestra a fare delle puntualizzazioni sulla questione ucraina servono a confermare all’elettorato che l’elmetto non è una scelta fanatica come lo è stato per il Pd di “Baio-Letta” ma una decisione sofferta e consapevole, che non smette mai di mettere la pace come obiettivo primario. Certo, a differenza dei grillini, spacciatori di favole, o del Pd, in guerra con se stesso più che contro Putin o con l’Occidente, la maggioranza sa e non nasconde che il raggiungimento della pace non è alla nostra portata come Italia, e per la verità neppure a quella dell’Europa. Così come è ridicolo Conte quando per ragioni meramente di consenso, anche se l’ultimo anno di sondaggi dimostra che la guerra non sposta un voto, svilisce il Parlamento sostenendo in ogni intervento in Aula che le nostre armi scariche siano un imprescindibile supporto per Kiev. Fa malinconia invece la Schlein, che tace perché non può parlare di pace come vorrebbe per non scoprirsi a sinistra con M5S e Fratoianni ma in realtà dirige un partito di guerrafondai specializzati nello sparare alla schiena al leader di turno e sui piedi di se stessi. 

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