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Via Rasella, compagni in piazza contro La Russa: chi c'è in prima fila, caso-Mattarella

di Francesco Storace martedì 4 aprile 2023

3' di lettura

No, non attribuiremo il valore della pagliacciata al raduno dei soliti noti di lunedì a via Rasella. Però un effetto lo fa vederli in un centinaio (fonte agenzia di stampa Dire) o due-trecento (fonte Corrierone) radunati dopo una polemica violentissima che avrebbe dovuto indignare tutta Italia. Quell’Italia che in realtà pensa a lavorare e ha già chiuso, sbadigliando, la polemica sullo stesso Ignazio La Russa (oggetto della “contestazione” di lunedì) con le scuse per le sue frasi legate all’attentato che provocò la durissima rappresaglia delle Fosse Ardeatine. Flashmob, ovvero siamo pochi e lo sappiamo, quindi non parleremo di manifestazione.

I più alti in grado il portavoce verde Bonelli, l’onorevole Casu del Pd e l’eurodeputato rosso Smeriglio. Accanto a loro la compagnia di giro che si annida tra Campidoglio e centri sociali, assieme a qualche anziano che fa parte, nel caso in questione a pieno titolo, delle associazioni partigiane. Ma non c’era il popolo. Qualche striscione, con su scritto: «Onore ai Gap. Ora e sempre Resistenza», è stato esposto da cittadini e rappresentanti di Anpi e Anfim a via Rasella, proprio all’angolo con via del Boccaccio, ai piedi dello storico palazzo che porta ancora, visibilissimi, i segni dei proiettili e delle schegge di quel giorno.

La nota stonata è stato il coinvolgimento del presidente della Repubblica: «Mattarella sciolga la riserva e dica qualcosa, deve intervenire». Con l’aggiunta, la solita: «La Russa non è degno di fare il presidente del Senato, non può ricoprire la seconda carica dello Stato», le parole al megafono di Angelo Bonelli, leader nazionale dei Verdi.
Insomma, erano i soliti, andati un po’ allo sbaraglio, per guadagnarsi un po’ di visibilità nei media e recitare una parte sempre più minoritaria nel Paese.
Anche l’immancabile Bella ciao finale ha risentito della tristezza dell’iniziativa, della solitudine dei manifestanti, che probabilmente non sono stati capaci di comprendere che non bastano più i vecchi richiami per mobilitare il loro popolo.

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Certo, di “nuovo” c’è la richiesta di dimissioni di La Russa, che «non deve fare il presidente del Senato», esattamente come ogni giorno un ministro del governo Meloni non deve fare il ministro: lo decidono in cento, sempre gli stessi in pratica. Che poi, se fossero sinceri, se la dovrebbero prendere anzitutto con i loro parlamentari che spalancarono a La Russa il portone principale di Palazzo Madama con il voto favorevole alla sua elezione a presidente. A far calare la tensione attorno alle frasi di La Russa è poi intervenuta la stessa premier, Giorgia Meloni, che ha parlato di «sgrammaticatura istituzionale», alla quale ha poi fatto seguito il messaggio di scuse dello stesso presidente del Senato.

SOLITI NOTI

Eppure, neanche questo è bastato a Laura Boldrini, sui social, perché anche lei ha dovuto borbottare contro la presidente del Consiglio. Tanto meno al presidente dell’Anpi, Gianfranco Pagliarulo, sempre pronto a polemizzare su qualunque cosa si dica da destra. Poi, lo sciogliete le righe, adesso torniamo tranquillamente a casa, la nostra parte l’abbiamo fatta. Senza rendersi conto di quanto sia andato male il tentativo – ossessivo – di rinfocolare gli animi in una polemica che non porta da nessuna parte. Si “mobilitano” solo le solite truppe in questo modo, ma non si offre un contributo che sia in qualche modo utile al sistema Paese. La sinistra dovrebbe davvero rifletterci sopra. Lo stesso voto di lunedì in Friuli Venezia Giulia conferma la sua distanza siderale dal Paese reale: la democrazia italiana non è affatto in pericolo, come vorrebbero dare a intendere.

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Aver preso a pretesto le frasi di La Russa a domande su via Rasella ha semplicemente scaldato gli animi. Inevitabilmente la polvere calerà a terra e si passerà allo scontro prossimo venturo. Magari il 25 aprile, come hanno già deciso... Peccato, perché l’Italia che guarda al domani comincia davvero a stancarsi di “dibattiti” legati a cento anni orsono. Non c’è nemmeno uno dotato di senno e non in malafede a credere che possano esserci tentativi di instaurare regimi antidemocratici in Italia. C’è solo la ragione sociale di una sinistra che non ha più argomenti su cui motivare i suoi sempre più scarsi sostenitori. 

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