Il colonnello del Pd

Marco Minniti: "Meloni deve fare la Merkel, senza aspettare le elezioni"

Francesco Specchia

 Quando si tratta di analisi geopolitiche dalle striature oracolari, Marco Minniti - la cui postura, da fuori, evoca quella, austerissima, d’un colonnello austriaco alla cloche di un triplano Fokker - da dentro, si rivela un mix di strategia tra Andreotti e Kissinger. La Nato si allarga, la Russia si stringe, la Tunisia si stinge. E l’ex ministro degl’Interni, oggi a capo di Med-Or, fondazione dell’azienda Leonardo per promuovere le relazioni tra Mediterraneo e Oriente, be’ ci piazza dentro un pugno di presagi illuminanti.

Caro Minniti, il momento è storico. Al di là degli entusiasmi quasi isterici, cosa significa l’entrata della Svezia nella Nato? E come influirà sulla guerra e sull’Alleanza atlantica che solo un anno fa Macron definiva “in morte cerebrale”? 
«In filosofia si chiama eterogenesi dei fini: parte con un obiettivo e ottieni l’esatto opposto. La guerra d’Ucraina è stato il vero capolavoro di Putin: l’Alleanza Atlantica ha riconquistato il suo ruolo storico. Nel febbraio del 2022 nessuno pensava minimamente all’Ucraina nella Nato, ora, dopo Vilnius, la si dà come una certezza e una necessità; è un dato imprescindibile, come il fatto che ci entrano Svezia e Finlandia, ovvero i due stati che da sempre facevano della neutralità un elemento identitario. La “minaccia russa imminente” ha unificato l’Europa anche in chiave asiatica. Il Giappone è nella stessa situazione; percepisce il senso di minaccia della Cina, idem per Taiwan. Abbiamo scoperto che il mondo è interconnesso».
 

L’Ucraina di Zelensky non entra nell’Alleanza ma nel Consiglio Atlantico: è rimasta delusa? 
«No. L’Ucraina ha ottenuto risultati importanti: la luce verde per l’entrata della Nato che non può avvenire ora a guerra in corso sennò scatterebbe l’articolo 5 che prevede il coinvolgimento degli Stati membri e quindi la terza guerra mondiale. In tutto questo Zelensky comprende che avere fretta di entrare nella Nato potrebbe essere un dramma per tutti; ma deve dare rassicurazione del “dopo” conflitto al suo popolo. Il secondo risultato importante è che ha ottenuto l’entrata nel Consiglio Nato, e quindi ora può convocare il Consiglio atlantico, mossa importantissima».

 

 

 


Putin, in tutto questo non ha mosso un muscolo. Neanche per fermare l’avanzata della Brigata Wagner di Prigozhin. Ma - come dice la Cia si vede che dentro un po' soffre... 
«Per Putin suona un campanone d’allarme. L’utilizzo della Wagner e di eserciti mercenari tipo quello ceceno, con gli anni l’ha fatto entrare in contrasto con i corpi stessi dello Stato. È emblematico che un eroe di guerra come il generale Popov – nome di battaglia, “Spartaco” - si sia lamentato della gestione del conflitto; e l’abbia fatto attraverso le parole di sfogo di un altro noto generale della Duma. Tra l’altro, come spiegherà Putin - ora che l’ha sciolta la presenza della Wagner in Africa nei teatri per lui fondamentali?».
 

Sicché Putin come pensa ora di uscire dall’impasse (se ce n’è uno)? 
«Spera in una fase di resistenza lunga e nell’“impatto politico del tempo”: tra poco ci sono le elezioni, in Spagna, in Europa, negli Stati Uniti. Il paradosso è che un autocrate confidi nel cambio degli assetti politici dettati dalle elezioni, la forma più alta di democrazia».

Poi c’è la Turchia di Erdogan che ha tenuto tutti sulle spine, tentando di barattare l’entrata della Svezia nella Nato (dopo la Finlandia) con quella di Ankara nell’Unione Europa. Ma gli hanno risposto picche. 
«La Turchia ha fatto un capolavoro politico diplomatico. Ha sostenuto sempre militarmente Kiev, ma non ha mai applicato le sanzioni contro Mosca, rendendosi così il mediatore perfetto, supplendo al ruolo dell’Europa. Anche e soprattutto nella gestione dei corridoi del grano (se ora saltasse l’accordo con la Russia la situazione sarebbe destabilizzante per tutta l’Africa).
Ed è questa legittimazione internazionale ad avergli fatto vincere le lezioni, nonostante la Turchia abbia l’economia distrutta, l’inflazione all’80% e lo strascico di una cattivissima gestione del terremoto. Le aggiungo: Erdogan probabilmente otterrà da Qatar, Emirati e Arabia un piano d’aiuti che varia dai 10 ai 40 miliardi...».
 

Perché secondo lei vera urgenza è fare entrare l’Ucraina nella Ue e non nella Nato? 
«Perchè psicologicamente sarebbe un toccasana di Kiev, sia in termini di tenuta democratica che di ricostruzione del territorio. E non essendoci alcun articolo 5 da applicare, non può essere inteso come un gesto offensivo, ma di salvaguardia. L’idea di un 38° parallelo, di avere una soluzione “coreana” nel cuore dell’Europa, sarebbe devastante».

Lei non è esattamente tranquillizzante. Specie considerando che Frontex denuncia, solo in Italia, il 150% in più di migranti verso le nostre coste. L’Africa non diventerà lo scenario di una guerra asimmetrica, dove i flussi migratori possono essere utilizzati come arma? 
«Lo è già. C’è un tema importante, quello del “global south”, dei paesi del sud del mondo. Di solito neutrali ma che oggi si sono schierati con la Shangai Cooperation Organization, la Nato asiatica, per dire: “anche noi ora abbiamo voce in capitolo”. Molti paesi africani, non stanno né con la Russia né con l’Ucraina. E poi c'è l’India, sta abilmente con due piedi in una scarpa: ha rafforzato i rapporti con gli americani nell’area indopacifica in funziona anti-Cina, e nel contempo qui è diventata alleata della Cina. In più ad agosto ci sarà la reunion dei Brics nei quali s’è infilata anche l’Algeria il nostro maggior partner energetico».

 

 

 


Perché l’Africa è così importante per la politica estera della Meloni?
«Tutto questo è Global South. In un momento in cui si prospetta un nuovo ordine mondiale bisogna dividersi i compiti per evitare l’instabilità del pianeta. E all’Europa spetta la cura dell’Africa, ma bisogna che la Ue questo lo capisca e, soprattutto, non perda tempo».

La Premier ha firmato in Tunisia con Rutte e Von Der Leyen il famoso “Memorandum” che imposta un “Piano Mattei” e regola i rapporti con la Ue sia dal punto di vista dei flussi che dell’energia.
«È un grande passo verso la stabilizzazione della Tunisia, una scelta politica che non ha guardato al Fondo Monetario che ha severe misure di taglio di spesa sociale cui subordina gli aiuti a Saied. Ovviamente per la Ue i diritti umani non saranno ignorati. Non dimentichiamoci il significato simbolico per una democrazia nata e - unica conservata dopo le primavere arabe».

È un successo per la Meloni?
«È un successo per il nostro governo e per l’Europa che fa da apripista per la stabilizzazione dell’Africa che è il fronte secondario della guerra asimmetrica con l’Ucraina. Poi bisognerà pensare alla Libia, all’Egitto (a cui il Fmi ha già concesso un notevole prestito, che in queste ora sta accogliendo i profughi dal Sudan) e al Niger, paese del Sahel importante per i flussi e il terrorismo islamico»

L’Europa non ha polso, è invischiata in gironi infernali di burocrazia. L’Italia può avere un ruolo dominante alle prossime elezioni Ue spostando a destra l’asse del goverrno?
«Ci vuole qualcuno alla Ue che apra la strada, che aiuti l’Africa e non solo per i flussi. Io credo che nella sua visione del mondo, l’Onnipotente ci abbia messo in una collocazione geograficamente strategica strepitosa: il crocevia tra l’Occidente e il sud del mondo. Questo carico se lo dovrebbe prendere l’Europa, ma è assediata dalla burocrazia e non c’è tempo per attendere i risultati delle prossime elezioni continentali. Quando ci fu la crisi dei profughi siriani, fu la Merkel a prendere l’iniziativa nell’accordarsi con Erdogan che fermò i flussi per 3 miliardi di euro dopo raddoppiati. L’Europa, che rischia sempre di trovarsi in una tenaglia umanitaria, poi venne dietro. Ma fu la Merkel».

Lei mi sta dicendo che la Meloni può avere il ruolo-chiave che ebbe la Merkel?
«Sarò diretto: Giorgia Meloni non solo può, ma deve avere il ruolo della Merkel per spezzare lo stallo africano e stabilizzare i territori, risolvere la questione dei “movimenti secondari”. Che si chiami “Piano Mattei” o altro fa lo stesso. La sfida è fondamentale per i destini dello stesso Occidente...».